Elia, scrittore reduce da un pauroso incidente domestico, si è ripreso ma non ricorda più nulla. Dell’incidente e della vita di prima. Torna a casa dall’ospedale e la moglie lo rassicura: sarà lei ad aiutarlo a recuperare la memoria. L’uomo è diffidente, sembra non riconoscerla, le dà del lei… In compenso ricorda qualcosa, sì, ma solo «cose inutili»… Ma com’era il loro matrimonio, prima? I due coniugi si stanno dicendo tutta la verità?

Tratto dall’omonimo romanzo di Eric-Emmanuel Schmitt, poi portato in scena anche a teatro, l’opera vede in scena solo due attori che sembra davvero che stiano calcando l’asse di un palcoscenico. Film “teatrali” di questo tipo, anche quando sono scritti apposta per il cinema, se ne vedono sempre più spesso (uno su tutti, Carnage di Roman Polanski). Il tono è plumbeo, angosciante, claustrofobico in questa borghese casa elegantissima con i corridoi stretti; e tutto è amplificato da una musica di fondo ossessiva, che ricorda quella che accompagna la vicenda (là davvero teatrale) di Birdman di Inarritu. Vediamo Elia, interpretato da Sergio Castellitto, con un grosso cerotto sulla nuca ma sappiamo poco del suo incidente. Come sappiamo poco di lui e della moglie (di lei non sappiamo neanche il nome), incarnata da Margherita Buy. Sono i loro dialoghi a condurci dentro le loro vita e la loro vicenda di coppia. Una lunga schermaglia (per un film breve, di soli 85 minuti) in cui i due si studiano, si punzecchiano, si scontrano, ma a tratti flirtano anche… Sembrano essersi amati molto, ma adesso? Elia non sembra fidarsi del racconto della moglie, che potrebbe confondere le acque per restituirgli una “memoria falsata” degli avvenimenti del passato. Lei sembra invece non credere alla sua perdita totale di memoria e cerca di capire se e cosa ricorda davvero… E quindi noi con loro, non capiamo: Elia è caduto dalle scale, battendo la testa? O è stato spinto dalla moglie? Un duello elegante, fatto di parole e sottigliezze, ma crudele. In cui i due cercano di accusare e far sentire in colpa l’altro, di smascherarlo e metterlo all’angolo. Un duello che prima o poi è destinato a divampare in un incendio, ma che prima lascia spazio anche alle dolcezze. Come il rievocare il primo incontro tra loro: ma almeno quello, andò veramente così?

Piccoli crimini coniugali, diretto da Alex Infascelli, ha tra i suoi punti di forza due attori meravigliosi come Castellitto e la Buy, che ci affascinano con la loro capacità seduttiva basata sulla voce, l’intonazione, gli ammiccamenti. I dialoghi sono sovente interessanti e arguti, anche se un po’ risaputi nel mostrare il matrimonio come tomba dell’amore e luogo di scontri quasi ferini («l’amore logora»). Eppure suonano anche troppo artefatti per appassionare davvero all’interno di un’opera per il cinema: a teatro il tono e il taglio impresso restringerebbe il pubblico a chi ama per forza di cose lo scontro “di parola”. Al cinema ci vuole qualche invenzione (Carnage era molto “mosso”, per quanto sempre chiuso tra quattro mura, e non solo perché di attori ce n’erano quattro; era molto più appassionante il duello storico-verbale di Diplomacy). Ovviamente ci si potrà appassionare, se ben disposti, a questo ennesimo teatro della crudeltà umana; anche perché Castellitto-Buy valgono davvero il prezzo del biglietto. Ma l’impressione è che qualche invenzione cinematografica in più non avrebbe guastato. E che Infascelli, giunto al quarto e sicuramente più maturo film di finzione, abbia però finora fatto la sua opera migliore e più emozionante con quel piccolo, grande documentario che era S is for Stanley, sull’amicizia tra Stanley Kubrick e un oscuro uomo di fiducia italiano.

Antonio Autieri