Sorretto dalla notevole performance del suo giovane protagonista Anthony Bajon e da quelle di molti ottimi comprimari (tra cui Louise Grinberg, protagonista anni fa dell’interessante 17 ragazze), il film di Cédric Kahn offre uno sguardo straordinariamente onesto e coinvolgente sul viaggio di una giovane anima.
Thomas – è sul suo viso e sui suoi occhi che il film inizia e finisce – è tossicodipendente: quando lo vediamo arrivare in un’isolata comunità religiosa sulle montagne francesi non sappiamo cosa lo abbia portato a scegliere quella strada per affrontare la sua dipendenza; non è nemmeno detto che lo abbia fatto di sua volontà, vista l’insofferenza che dimostra all’inizio verso la dura disciplina della comunità, fatta di lavoro, silenzio, preghiera e regole da rispettare.

Thomas è silenzioso, scontroso, cerca di sfuggire a regole e divieti, a un certo punto medita anche la fuga. La comunità, però, non è solo fatica, ma anche solidarietà e amicizia e un ruolo fondamentale hanno proprio i rapporti di amicizia, capaci di bucare il muro della sua solitudine. Ogni “nuovo”, infatti, è affidato a un “fratello maggiore” che lo aiuta e lo sostiene. Per Thomas questo è Pierre, ex eroinomane come lui, che se lo prende a cuore nonostante la sua resistenza; il rapporto tra i due ragazzi è una delle cose più belle di un film che fa dell’osservazione sincera e senza pregiudizio dello svolgersi del quotidiano uno dei suoi punti di forza.

La preghiera emerge come parola e come gesto quotidiano, come esercizio comune di ascesi, ma anche di ringraziamento per un percorso che è sfida continua (molto bello il momento delle “testimonianze” pubbliche dei ragazzi, fatte di vittorie ma anche di sconfitte). La comunità, ispirata a esperienze reali di questo tipo, ha uno stile duro, quasi monastico, ma c’è anche lo spazio per il canto, l’umorismo e le gite in montagna. E proprio durante una di queste Thomas ha un’esperienza capace di cambiargli la vita per sempre e di dargli, forse, una vocazione. Anche questo momento quasi mistico, però, è reso con un realismo semplice e disarmante, capace di avvicinarsi con pudore al momento misterioso e personalissimo dell’incontro di un’anima con il Mistero. Sarà l’inizio di una vocazione? Solo il tempo e la vita potranno davvero dire se quella è la strada per lui.

In un mondo prevalentemente maschile spiccano due figure femminili: quella della suora fondatrice della comunità, interpretata da Hanna Shygulla, e quella di una ragazza, Sybille, figlia di contadini del luogo, capace di mettere in discussione il percorso di Thomas. Che alla fine si ritroverà di nuovo di fronte a un bivio, ma capace di affrontarlo con una forza diversa.

Un po’ come era accaduto con Uomini di Dio di Xavier Beauvois, anche qui un non credente riesce nell’impresa di tratteggiare un mondo di persone che credono evitando la doppia trappola dell’ironia cinica e del pietismo. Il regista (grazie anche al lavoro dei due sceneggiatori, che vengono dal documentario e hanno studiato l’argomento per lungo tempo) affronta il mondo della comunità con curiosità e rispetto, stando dietro al difficile percorso del suo protagonista con attenzione e senza ideologia, un’operazione che ha quasi del miracoloso nella secolarizzatissima Francia di oggi.

Laura Cotta Ramosino