I fantasmi sono sempre un ottimo argomento per il cinema, dai tempi de Il fantasma e la signora Muir di Mankiewicz, con Gene Tierney e Rex Harrison, a Spirito allegro di David Lean (sempre con Rex Harrison) alle innumerevoli versioni del Fantasma di Canterville di Oscar Wilde (splendida quella con Charles Laughton del ’46). Fino ad arrivare ai giorni nostri e al melodrammatico Ghost del 1990, con Patrick Swyze e Demi Moore (ricordato più per la parodia della famosa scena al tornio da vasaio che ne ha fatto Una pallottola spuntata che per il valore artistico). Che riescano o meno a comunicare coi viventi, i fantasmi cinematografici cercano comunque di essere sempre rassicuranti, e più che alla morte sembrano far pensare all’aldilà come a una sala d’aspetto: noiosa ma con tante riviste da sfogliare (i vivi).

La variazione sul tema di Se solo fosse vero è che la protagonista, anche se appare come un vero e proprio fantasma capace di passare attraverso i muri, non è morta ma in coma. Detto così sembra cinico e un po’ ridicolo, ma la storia tra i due protagonisti, cosa non da poco nel cinema contemporaneo, oltre al lato romantico insinua qualche dubbio sull’eutanasia, sostenendo apertamente la possibilità del risveglio anche al di là di pretese certezze scientifiche. Riuscendo a far passare il tono della vicenda, senza brusche forzature, dal divertimento a momenti di sincera commozione. E chiudendo in un modo convincente.

A rendere gradevole la commedia di sicuro contribuisce Reese Whiterspoon (premio Oscar per la strepitosa interpretazione di June Carter in Quando l’amore brucia l’anima), ma anche Mark Ruffalo (già apprezzato in Conta su di me) con la sua spaesata goffaggine di chi non si capacita ma cerca comunque di adeguarsi, merita comunque di essere apprezzato. Due attori intonati alla storia e ai suoi diversi registri, che insieme sicuramente funzionano molto bene.

Beppe Musicco