Film ermetico, a tratti piuttosto incomprensibile, firmato dal Bellocchio de L’ora di religione e Buongiorno, notte. Un regista entra in crisi dopo aver assistito al matrimonio formale e cattolico della figlia. Ad aggravare la crisi di coscienza dell’uomo l’impantanarsi in un progetto televisivo (I promessi sposi) e l’accusa di molestie sollevategli contro da un’aspirante attrice. Un viaggio-fuga in una Sicilia magica e borbonica e l’incontro con un’affascinante principessa complicheranno ancora di più la sua vita.
Bellocchio sceglie la strada dell’arcano e dell’incantato per una riflessione personale sul proprio mestiere e sul fattore religioso, in questo senso seguendo, anche attraverso tutt’altro registro, la traccia di un film come L’ora di religione. Quello che non convince però è il tono elitario ed eccessivamente ermetico della narrazione, che spesso sfocia nell’incomprensibilità (il dialogo in tedesco con i cani). Così come il nucleo di una ricerca religiosa che, difetto avvertito nello stesso L’ora di religione, rimane una ricerca solo sulla carta e spesso appare ancorata ala zavorra di un dubbio scettico che non porta, letteralmente, da nessuna parte. Molti i riferimento colti (in primis l’ambientazione affascinante di una Sicilia che sembra uscita da Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa) e altrettanti i riferimenti autobiografici. Come quello del regista fantasma, interpretato da Gianni Cavina, che deve fingersi morto per vincere un David di Donatello. Un riferimento personale, forse, al Premio “scippato” a Buongiorno, notte alla Mostra di Venezia 2003. Una strana parabola, quella di Bellocchio: dalla barricate del ’68, con l’anticipatore e profetico I pugni in tasca alla più borghese pretesa del riconoscimento della propria Arte. Dalla rivoluzione, alla poltrona.
Simone Fortunato