“L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza” vede un bambino di 12 anni sparire i genitori (scappati per fuggire alla dittatura militare) mentre la nazione impazzisce di gioia per l’amata squadra di calcio nazionale (quella di Pelè, Tostao, Jairzinho e Carlos Alberto), lanciata verso il trionfo ai mondiali di Mexico 70 (dove in finale strapazzarono l’Italia per 4-1). Mauro, rimasto da solo, si ritrova all’interno di una strana comunità di anziani ebrei (in particolare il vecchio Shlomo, solo come lui, che sembra adottarlo), bambini curiosi, bambine sveglie, persone semplici di origini diverse che si aiutano nel quartiere multietnico del Bom Retiro. E in balia di sentimenti contrapposti, è costretto a crescere più in fretta del previsto, con genitori che non si fanno sentire e lui che non ne capisce il motivo. Mauro attende la vittoria del suo Brasile, ma soprattutto sogna il ritorno di mamma e papà, e ogni automobile che ricorda quella con cui si allontanarono è una stretta al cuore. E quando tornerà solo uno dei due, la sua infanzia sarà probabilmente finita.,Classico racconto di crescita, ricco di sfumature sensibili anche se non del tutto imprevedibili, il film di Cao Hamburger racconta un momento tragico della storia del paese sudamericano, diviso tra una gioia sportiva effimera e un presente fatto di violenze, umiliazioni, repressioni. Il suo pregio è raccontare tutto ciò con il tono di una commedia ad altezza di bambino, intrisa del paradossale sapore della nostalgia (il giovane regista si immedesima nell’infanzia di Mauro) che sfiora ma evita i rischi di una rappresentazione edulcorata, innocua, scontata. Ma che invece non fa sconti al dramma, come dimostra il commovente finale. ,Antonio Autieri