Tratto da una vera vicenda, il film di Todd Haynes (Lontano dal Paradiso, Io non sono qui, Carol) rientra nel filone di quei film di impegno sociale, che lo accomuna a Spotlight (che ha sempre come protagonista Mark Ruffalo), ma anche a titoli specifici che riguardano le responsabilità delle aziende che hanno danneggiato l’ambiente e le vite degli uomini, come Erin Brockovich o A Civil Action. Con una regia asciutta e senza orpelli (fatto abbastanza inaspettato da un regista come Haynes, incline spesso al melodramma) la storia comincia nel 1988, quando Wilbur Tennant (Bill Camp) un allevatore di Parkersburg, West Virginia, cerca il giovane avvocato di Cincinnati Robert Bilott per far causa alla DuPont. L’azienda, un gigante mondiale della chimica, sembra abbia sversato rifiuti tossici in una discarica vicina al terreno di Tennant, inquinando il suo torrente e avvelenando il bestiame. Lo studio legale di Bilott difende le grandi corporation, così l’avvocato è restio ad accettare l’incarico, ma alla fine cede perchè quella è la terra dove è nato e cresciuto, e si sente moralmente implicato.

Nel corso delle indagini Bilott scopre dei collegamenti tra i casi di cancro e malformazioni alla nascita di molti cittadini di Parkersburg e la produzione di PFOA (o C8), un composto chimico che serve a realizzare il Teflon, materiale usatissimo in tanti prodotti per la casa. Quello che doveva essere un veloce caso di rimborso per danni comincia a ingigantirsi, anche per i tentativi legali della DuPont, che influenza con le sue attività (e i benefici che ne derivano) la vita di molti cittadini di Parkersburg, dove l’azienda possiede stabilimenti che danno lavoro a migliaia di persone.

La performance di Mark Ruffalo è decisamente impressionante: nell’impersonare Bilott l’attore si addentra lungo il sottile confine che divide le convinzioni morali di un uomo da un’ossessione professionale. Bill Camp, da parte sua, esprime fisicamente l’attaccamento alla sua terra, e tutta una serie di emozioni (frustrazione, rabbia, tristezza) per una situazione che lo vede senza speranza a combattere contro un potere pressoché senza limiti. La Hathaway, nel ruolo della moglie di Bilott, che ha lasciato la professione legale per occuparsi della famiglia, è la sponda critica degli sforzi dell’uomo, e Tim Robbins nel ruolo di partner anziano dello studio legale mostra anche il volto di chi è preoccupato per i propri (grandi) clienti. Non secondario tra i personaggi è il panorama della West Virginia, fotografato con toni freddi nei suoi splendori naturali, che servono anche a evidenziare la presenza capillare e invasiva della DuPont, accentuata (ironicamente, a nostro parere) dalla voce di John Denver che canta una delle sue canzoni più famose, “Take Me Home, Country Roads”, mentre Bilott attraversa Parkersburg.

Cattive acque, pur nella sua sobrietà espositiva e del particolare di alcuni uomini in lotta per il diritto alla salute, ben rappresenta un dramma che ha investito ben più che una cittadina o un pezzo degli Stati Uniti, ma che, per la diffusione mondiale del Teflon, rappresenta un caso dalle implicazioni planetarie.

Beppe Musicco