,Remake de Le avventure del Poseidon, Poseidon si porta dietro i difetti e i (pochi) pregi del suo autore quel Wolfgang Petersen che diede nuovo lustro al cinema mitologico con ‘Troy’. E proprio come per ‘Troy’, ci troviamo di fronte a un film di forte impatto spettacolare ma che rischia di esaurirsi proprio nel momento dello spettacolo stesso. Beninteso, a un film spettacolare non si richiede e non si deve richiedere molto altro al di fuori dello spettacolo puro, ma va da sé che una storia ben raccontata, con interpreti efficaci e scavati nella propria umanità possano giovare allo spettacolo puro. Così, ‘Titanic’ che Petersen, forse con eccessiva audacia, ha ammesso di prendere come modello per il proprio film, è un film di grande impatto spettacolare (superiore allo stesso ‘Poseidon’) ma che nelle più di tre ore di durata, lavora sui personaggi, seppur in modo un po’ troppo schematico. Ci si affeziona alle vicende della coppia Di Caprio e Winslet, nuovi Romeo e Giulietta, e alla fine, immedesimazione su immedesimazione, onda su onda, si piange a dirotto. O almeno si prova un brivido, ci si emoziona. Di fronte a ‘Poseidon’ non si prova nulla. Lo spettatore rimane algido di fronte alla freddezza di una regia che cura il momento dell’impatto acquatico ma non cura con altrettanta intelligenza i propri personaggi. Che sono tanti e lasciati in balia di storie e dialoghi che fanno – è proprio il caso di dirlo – acqua da tutte le parti. Sulla carta ci sono numerosi personaggi (forse troppi per gli appena 99 minuti di film) adatti per ogni tipo di pubblico: c’è il personaggio del maturo Richard Dreyfuss, sull’orlo del suicidio per l’abbandono della moglie ma che trova linfa vitale proprio nel pericolo; c’è l’ex sindaco di New York, il capo dei vigili del fuoco Kurt Russell nei guai con una figlia innamorata; c’è il giocatore d’azzardo interpretato da Josh Lucas, la madre con il figlioletto, la clandestina….Insomma ci sono tutti, ma nulla di tali personaggi appare minimamente convincente. Di nessuno si prova compassione o dolore, o solidarietà, perché della loro vita e del loro passato si è fatto appena un accenno vago. E non si sorride neppure, perché – e questo è forse l’errore più grave di Petersen – non c’è ironia o auto-ironia: i protagonisti, come già nei lavori precedenti di Petersen, ‘Air Force One’ o il già citato ‘Troy’, si prendono troppo sul serio e finiscono per risultare antipatici. L’unico motivo di interesse è quello, per così dire interattivo. Riusciranno i nostri eroi-pedine a trovare la strada giusta per la salvezza? Come in un videogioco di ultima generazione, dove è il computer a regnare sovrano, si reagisce di fronte a stimoli visivi e acustici, tutti proiettati verso la meta ma perdendo di vista tutto il resto. Una realtà fatta di storie, passioni, drammi e uomini.,Simone Fortunato