Dagli esordi nel Lanerossi Vicenza, passando per il rigore sbagliato al Mondiale del 1994. La vita in campo, e soprattutto fuori dal campo, di un fuoriclasse del calcio come Roberto Baggio che non risparmia frecciate ad allenatori quali Arrigo Sacchi e Giovanni Trapattoni e non nasconde la grande ammirazione per Carlo Mazzone.
Comprendiamo che non fosse facile condensare la carriera umana e sportiva di Roberto Baggio in 91 minuti di film. Tuttavia si resta decisamente spiazzati nel non vedere praticamente citato il quinquennio di permanenza alla Fiorentina (gli anni dell’esplosione) o le stagioni trascorse alla Juventus (gli anni della consacrazione), così come il biennio al Milan o il rilancio al Bologna. Non si dice niente del trauma di una città e di una tifoseria intera che rappresentò il passaggio di Baggio dalla Fiorentina alla Juventus. Le poche immagini sportive riguardano gli esordi al Lanerossi Vicenza e gli anni finali di trionfo personale al Brescia grazie a Carlo Mazzone. Un po’ poco. Per Il divin codino la scelta della regista Letizia Lamartire e degli sceneggiatori Stefano Sardo e Ludovica Rampoldi è stata netta e precisa, concentrarsi di più su quanto accaduto fuori dal campo e su quello spartiacque sportivo ed esistenziale che è stato il rigore sbagliato nella finale dei Mondiali del 1994.
Seguiamo quindi Roberto Baggio (impersonato dal pur bravo Andrea Arcangeli) intento ad affermare la sua personalità, soprattutto a farsi accettare dal padre burbero, taciturno e severo (Andrea Pennacchi); lo vediamo concentrato e fermo nella sua scelta buddista e determinato a riprendersi dopo i gravi infortuni aiutato dalla paziente moglie Andreina (Valentina Bellè). Lo vediamo in contrasto con allenatori quali Arrigo Sacchi che voleva imbrigliarne il talento – secondo Baggio – anche se le stilettate più dure sono riservate a Giovanni Trapattoni che prima gli promette di convocarlo per i Mondiali del 2002 poi, all’ultimo, fa retromarcia gettandolo nello sconforto. Il film, purtroppo, ha un taglio troppo televisivo. A parte il ruolo di Baggio e del padre, molti altri personaggi sono decisamente macchiettistici, soprattutto gli interpreti che impersonano gli allenatori.
Un tema molto sentito per il protagonista, ovvero la conversione al buddismo, è trattato in modo superficiale. Anche se il film cresce nel finale, soprattutto nella scena conclusiva in autogrill quando si scioglie definitivamente quell’insieme di tensioni e di incomprensioni tra padre e figlio, vedendo Il divin codino si ha l’impressione di un’occasione persa. Certamente Baggio, uomo schivo e molto serio, non ha mai voluto essere un mito o una leggenda, e il film questo lo fa capire bene. Ma alla storia potevano essere aggiunti molti elementi o particolari che avrebbero permesso di afferrare e capire meglio una delle figure più emblematiche dello sport. Il divin codino è uscito direttamente su Netflix (sempre sulla piattaforma si trova il documentario Il divin codino/Baggio: l’uomo dietro il campione uscito in concomitanza con il film).
Aldo Artosin
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