Murakawa è un boss della yazuka che, ormai stanco, decide di ritirarsi. Prima, però, dovrà affrontare un’ultima missione. Il capo, infatti, lo manda insieme ai suoi uomini a Okinawa con un compito all’apparenza facile, mettere pace tra due fazioni rivali. In realtà, la situazione si rivela fin da subito difficile e Murakawa capisce di essere caduto in una trappola dalla quale sarà difficile uscire vivi…

Un pesce infilzato e titoli di testa che vanno in frantumi. Fin dalle prime scene il giapponese Takeshi Kitano con Sonatine ci fa capire che quella che vedremo sarà una storia non certo a lieto fine. Il regista e attore giapponese, prende il genere dei film di mafia giapponesi, quelli appunto con i feroci gangster yazuka, e lo trasforma dandogli ritmi e connotazioni molto da cinema di autore. La violenza è presente, esplode all’improvviso, per poi lasciare spazio a una messa in scena in cui il tempo su fa molto più rarefatto, in attesa che il destino dei protagonisti si compia.

Questo è evidente nella parte centrale del film quando Murakawa, impersonato dallo stesso Kitano che dimostra la sua bravura anche come attore, insieme alla sua squadra si rifugia in una casa sul mare. Inizia una lunga fase di sospensione temporale in cui i gangster per passare le giornate giocano, si divertono, tornano bambini, quasi a volersi riappropriare di una vita che in realtà non appartiene più a loro ma a chi gli ordina missioni al limite dell’impossibile. Però è una fase destinata a finire bruscamente. Lo sa anche Murakawa che in quei giorni salva e si innamora, ricambiato, di una prostituta. La felicità sembra dietro l’angolo, così come la possibilità di poter cambiare vita; ma uno yazuka sa che questo non è possibile. E il colpo di pistola finale mette fine a qualsiasi tipo di illusione. Sonatine, girato nel 1993, è il film che fece conoscere Kitano come autore al pubblico europeo, decretandone un successo quasi superiore a quello ottenuto in patria.

Aldo Artosin