New York, ai giorni nostri: una coppia di quarantenni, sposati e frenetici, vivono le nevrosi quotidiane di una vita stressante, tra prime disillusioni coniugali, figli che non arrivano (su cui ci si mette, con troppa retorica per esserne davvero convinti, l’animo in pace) e lavori “creativi”. Josh è in effetti un regista di documentari affermato, ma mai come il padre di sua moglie Cornelia: avere un suocero genio, che non smette mai di farlo pesare, non è il massimo per lui. L’orgoglio, che gli fa negare il suo aiuto economico, lo porta a lavorare da anni su un documentario che si sta arenando (una lunghissima intervista con un sociologo dalle teorie strampalate). E l’età che avanza aumenta le frustrazioni. L’incontro con due ragazzi incrociati al suo corso universitario è una scarica di adrenalina: lui, Jamie, sembra un suo fan ingenuo ed entusiasta; la fidanzata Darby è carina quanto basta. Insieme sono molto simpatici e coinvolgenti: per quanto inizialmente ritrosa, anche Cornelia si fa trascinare come Josh dal loro vitalismo. Tanto che si ritroveranno a frequentare feste su di giri di giovani, iniziando a evitare le coppie sposate (con figli…) dei coetanei… Ma sarà una vera, sincera amicizia?

Noah Baumbach (Il calamaro e la balena, Lo stravagante mondo di Greenberg, Frances Ha) è il prototipo del regista newyorchese intellettuale: i suoi film, ricchi di annotazioni argute, spesso sono però anche autoreferenziali e dal respiro corto. Anche in Giovani si diventa (ma il titolo originale, While We’re Young, significa “Mentre siamo giovani”), alcuni aspetti o riflessioni potranno sembrare poco interessanti a chi non vive nei dintorni del cinema o di mestieri affini; intrigando peraltro chi invece bazzica gli ambienti della creazione, non solo di film e documentari ma dell’arte in genere, o semplicemente ne è un appassionato fruitore.

Sarebbe un peccato però confinare la commedia di Baumbach nell’area del giochino per pochi, perché l’opera non solo descrive bene i suoi personaggi: sia i quarantenni spompati ma pronti a ributtarsi nella mischia che i ventenni contraddittori (che considerano affascinanti le “cose vecchie” che i più “anziani” modernisti scartano: dai vinili alle vhs), e anche il suocero geniale e perfido. Soprattutto, il film coglie il segno nel raccontare il dramma di non saper accettare il tempo che passa, ma anche l’urto – prima positivo, poi molto meno – con la sfrontatezza dei giovani, tra ammirazione e invidia. Senza accontentarsi di uno sguardo “divisivo” e manicheo, dove torti e ragioni siano troppo distinti. Ma trovando un’evoluzione della storia – e del suo protagonista principale – sorprendente, in cui anche piccole ingiustizie e scorrettezze possono essere meglio osservate se la prospettiva cambia. Fino ad arrivare a un finale di cambiamento vero, non forzatamente “giovanilista”: in cui quella che era vissuta come una sconfitta diventa una bella e “corrispondente” rivoluzione grazie a una semplice, grande scelta di aprirsi a una vita. Anche se non nel modo che si era pensato.

Antonio Autieri