Lisa è un’atleta di successo di softball, la versione femminile del baseball. A soli 31 anni è però già considerata “vecchia” e perde il posto in squadra. Alla crisi professionale si somma quella sentimentale, non trovando un uomo che la ami davvero. E l’avventura con l’altro campione sportivo Matty – ricco, egocentrico, accumulatore di avventure femminili ma soprattutto stupidissimo – è soddisfacente solo dal punto di vista fisico. E non sembra essere una credibile alternativa il troppo goffo George, giovane manager in disgrazia nell’azienda del padre, che rischia un’incriminazione.,James L. Brooks, classe 1940, è regista di peso nella commedia americana degli ultimi decenni. Il suo stile brillante, i suoi dialoghi arguti, i suoi personaggi sfaccettati hanno scritto pagine importanti del cinema hollywoodiano, anche se fortuna e successo sono stati inferiori alle capacità (è forse stato più importante per la tv americana, con le sue serie Mary Tyler Moore, Lou Grant e Taxi; senza contare che ha creato insieme a Matt Groening I Simpson). I suoi film più premiati (Voglia di tenerezza, Qualcosa è cambiato) ma soprattutto quelli più belli che ricordati (Dentro la notizia, Spanglish) hanno sempre sofferto di accumulo di situazioni, rischiando a ogni tratto di perdere il proprio baricentro; e a volte ne soffriva la scioltezza narrativa. Personalmente, consideriamo Qualcosa è cambiato tra i più sopravvalutati film “da Oscar” degli ultimi vent’anni, mentre la considerazione critica altalenante del suo lavoro (si pensi all’ultimo Spanglish, amato da pochi e stroncato da tanti) si spiega proprio con il difetto ricorrente di una mancanza di equilibrio. Che però, altra faccia della medaglia, dona verità a storie e personaggi.,In Come tu lo sai il film parte in fretta per la tangente. Per quanto ben interpretato dalla protagonista Reese Witherspoon (attrice migliore dei film in cui lavora: poteva essere una nuova Meg Ryan, anche più brava), Come tu lo sai gira a vuoto fin dall’inizio. Colpa di personaggi troppo poco delineati o che sembrano inseriti a forza nella storia (come la segretaria di George, per quanto interessante), o di profili caratteriali un po’ troppo programmatici per Mattie (un Owen Wilson troppo simile ai suoi personaggi sopra le righe con Ben Stiller), George (un Paul Rudd che la sceneggiatura costringe a troppi tic e complessi) e suo padre. Che essendo Jack Nicholson, è esattamente come ci si immagina: diabolico e piacione, sulfureo e ammaliante. Insomma, poco di originale.,Non che tutto sia da buttar via: come sempre nei film di Brooks, i dialoghi sono sofisticati e molte battute brillanti, ma gli snodi della trama sono troppi e rendono faticoso seguire una storia che di per sé è invece molto esile. Fino a una parte finale discreta che in parte la risolleva grazie a una bella scena in ospedale con dichiarazione d’amore di un personaggio che spunta all’improvviso (il fidanzato della segretaria di George) e annessa, ennesima gaffe del giovane manager. E anche lo scioglimento delle disavventure sentimentali di Lisa, pur prevedibilissimo, non è male. Ma le cose buone del film, che si acquieta e rallenta dopo l’eccessiva frenesia dei primi 80, arrivano a tempo e pazienza scadute, tanto da non evitare un sentimento di delusione per un film più sbagliato che brutto.,Antonio Autieri,