Girato contemporaneamente al moscietto “I fratelli Grimm e l’incantevole strega”, Tideland ne spartisce la tematica, fondamentale per il cinema di Gilliam (“Brazil”, “La leggenda del re pescatore”, “L'esercito delle 12 scimmie”), dell’incontro (scontro?) tra il mondo della realtà e quello dell’immaginazione che lo sostiene e lo innerva come le radici dell’albero della locandina. A metà tra l’Alice di Carroll e Arizona Dream di Kusturica, il film si addentra con l’incoscienza della sua protagonista in un mondo terribile e affascinante ad un tempo dove nulla è ciò che sembra, perché tutto è immagine (cadaveri imbalsamati, bambole, grandi squali). Il senso di pericolo che aleggia in tutto il film, e che trova la sua catarsi solo nel climax hitchcockiano e dinamitardo del finale, è dovuto soprattutto al fatto che Gilliam non si risolve mai per uno dei due poli (realtà e immaginazione) ma rimane in bilico come un equilibrista su una fune. E così non c’è stasi possibile, sulla corda bisogna camminare, il rischio è quello di rompersi l’osso del collo. In un film che si basa praticamente sulle interpretazioni di appena cinque attori, spicca la formidabile prova della giovanissima Jodelle Ferland che sostiene gran parte del film con i suoi monologhi e su cui “nonno” Terry indugia visibilmente incantato. ,Eliseo Boldrin