È Natale, ma Clara non ha nessuna voglia di festeggiarlo: è morta l’amata madre Marie, e tutto sembra andare male. Il padre, sconvolto dal dolore della perdita della moglie, è diventato (in apparenza) freddo e distaccato, attento solo a regole e forme, cosa che lo allontana da Clara. La sorella maggiore e il fratellino sembrano vivere in modo meno drammatica il lutto, mentre lei si sente ormai ovunque fuori posto. Comunque, in quel Natale Clara riceve un pacchetto con un oggetto, a forma di uovo, chiuso da una serratura: è l’ultimo regalo della madre per lei; ma non si riesce ad aprire, e sì che lei è bravissima con macchine e ingranaggi. La sua curiosità è fortissima, per l’amore che aveva per la madre e per quel biglietto che afferma esserci dentro il regalo tutto quello di cui lei ha bisogno. Occorre la chiave per aprire il regalo, e per recuperarla Clara si metterà in un pericoloso viaggio, per il quale il suo padrino Drosselmeyer (Morgan Freeman) le dà consigli e supporti.

Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni prodotto dalla Disney è una versione molto libera, cioè molto diversa, dal racconto Lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Ernst Hoffmann del 1816 e dalla versione successiva, e meno “horror”, di Alexandre Dumas da cui fu tratto il celebre balletto con le musiche di Tchaikovsky. Del racconto originario il film – curiosamente diretto a quattro mani, per parti separate, da Lasse Hallström e Joe Johnston – mantiene l’ambientazione natalizia e poco altro, se pensiamo che la protagonista Clara è una novità. Clara è una 14enne molto moderna, ferratissima nelle scienze e molto a suo agio con macchinari vari; molto meno con il padre, dopo la morte della madre («il mondo reale non ha più senso per me, ormai»: frase che in bocca a un’adolescente fa molta impressione).

Il film recupera ispirazioni non tanto dai film che hanno già ripreso il racconto e il balletto quanto da altri film, come per esempio Alice in Wonderland e soprattutto Le cronache di Narnia, con il passaggio dal mondo reale a quello di fantasia e con i regni sospesi in un’altra dimensione. In quel mondo trova un soldatino di guardia, Phillip Hoffman (Jayden Fowora-Knight), che diventa prima il suo scudiero e poi il più fidato amico; ma è un mondo di giocattoli che ha preso vita per magia (il soldatino è proprio lo Schiaccianoci), un magia in cui ha avuto grande parte la madre che viene rimpianta dagli abitanti di cui era la regina. E che ora acclamano Clara (interpretata dalla giovane Mackenzie Foy, appena diciottenne e già vista giovanissima in Interstellar), che qui trova i reggenti, ovvero Brivido, Biancospino e Fata Confetto, che governano i tre Regni chiamati la Terra dei Fiocchi di Neve, la Terra dei Fiori e la Terra dei Dolci; mentre la reggente del Quarto Regno, Madre Cicogna (la grande Helen Mirren, qui un po’ sprecata), è in esilio, a causa del suo tentativo di prendere il potere. Ma ci saranno non pochi colpi di scena.

Visivamente stupendo, con scenografie e colori a tratti da lasciare a bocca aperta (ma anche le scene cupe e notturne sono molto belle), musicalmente notevole (ma questo è evidente, anche se non ci sono solo le musiche di Tchaikovsky),  Lo Schiaccianoci e i Quattro Regni non brilla molto per la storia che non è certo il suo punto di forza; tanto meno la lunga battaglia finale (che troviamo noiosa, come quasi tutte le battaglie nei film fantasy contemporanei). Alcuni momenti risultano un po’ meccanici, come il balletto organizzato per la protagonista che sembra pensato solo per alludere a quello celebre o l’utilizzo dei topi che deve richiamare i racconti di Hofmann e Dumas (anche se in chiave completamente diversa). E anche molti personaggi e situazioni lasciano perplessi (le figure circensi e mostruose a un tempo a protezione di Madre Cicogna, i reggenti, a parte la Fata Confetto di Keira Knightley che ha più spazio). Mentre i toni dolciastri sul Natale, che possono infastidire nella loro retorica vuota, sono simili a tanti film di questo genere. La cosa migliore è il rapporto tra il padre e la figlia, anche se confinato nella cornice del racconto. Ma l’operazione doveva servire a stupire con colori e magia più che sul piano della narrazione. Considerate queste premesse, lo si può considerare un film più che riuscito.

Luigi De Giorgio