La regina di Selvascura non riesce ad avere figli, ma un negromante suggerisce una soluzione ardita: mangiare il cuore di un drago marino, cotto da una vergine. Nell’impresa di uccidere il drago muore il re, suo marito, ma la magia funziona. Solo che rimane incinta anche la vergine che ha cucinato il cuore della bestia, per la “potenza” dei vapori; e i due figli che nasconono, entrambi albini, sembrano gemelli e sono unitissimi tra loro, suscitando l’astio della regina che vuole separarli. In un altro regno, a Roccaforte, un re licenzioso sente una voce angelica che immagina essere di una fanciulla; è invece di una povera vecchia, che vive con la sorella e organizza una trappola al re smanioso di avere la fanciulla dalla voce angelica che esiste solo nella sua immaginazione. Scoperta, rischia di lasciarci la pelle: ma una maga la trasformerà davvero in giovane avvenente. Suscitando sentimenti contrapposti nella sorella rimasta vecchia…. Il re di Altomonte, invece, si affeziona a una pulce, che conserva e trasforma in animale domestico, nutrendola di nascosto. Quando, cresciuta a dismisura, il parassita ormai enorme muore, il re escogita un torneo con in palio la mano di sua figlia sicuro che nessuno riconosca la provenienza di quella pelle, per poter così tenere la figlia con sé. Nessuno, infatti, riconosce quella strana pelle di animale, tranne un orco…

Tratte da tre racconti de Lo cunto de li cunti dello scrittore seicentesco Giambattista Basile, le storie raccontate da Matteo Garrone in Il racconto dei racconti si intrecciano con sapienza, alternando umorismo nero e tocchi macabri e perfino horror. Regia elegante e stile pittorico (con alcuni fotogrammi che sembrano veri e propri quadri), attori molto bravi e ben diretti (tra i migliori Toby Jones, re geloso della figlia e ossessionato da una pulce domestica; ma sono da citare anche Salma Hayek e Vincent Cassel), temi forti come la passione, il desiderio, la gelosia, la brama che possono portare alla rovina, in una produzione internazionale che lascia ammirati per il coraggio dell’impresa. Ma l’operazione è anche fredda e a tratti respingente, cosa curiosa se pensiamo alla natura popolaresca dell’opera di Basile, raggelata da una freddezza e una cupezza che contrasta con gli intenti esplicitati di un fantasy (con tanto di mostri e draghi, sortilegi e magie), per quanto d’autore e personale. Alcuni spunti colgono il segno: quei due ragazzi albini, inquietanti e toccanti al tempo stesso; ma anche il rapporto della regina con il figlio («nessuno ti amerà quanto me»), o quella del re con la figlia che vuole evadere dal suo regno. Le immagini, poi, sono vivide e spesso fascinose, a conferma del talento visivo di Garrone (che nasce prima pittore che regista), ma poco appassionanti: siamo lontani dall’incisività di due film, per quanto diversissimi, come Gomorra e Reality (che pure, a suo modo, era una fiaba dark: e il sottofondo musicale, come anche nel nuovo film, di Alexandre Desplat, lo sottolinea bene). Ed è difficile immaginare un pubblico largo per questo mix di favole inquietanti illustrate con grande stile, ma che rischiano di sembrare troppo “dure” per gli appassionati dei film d’autore e troppo angosciante (ma anche dal ritmo tutt’altro che frenetico) per chi ama i fantasy. Garrone merita rispetto per le sue qualità da grande regista e per il rischio che si è preso con un film solo in apparenza più facile dei precedenti. Ma è difficile che i suoi “racconti”, che oltre tutto chiudono in maniera narrativamente debole, si imprimano nella memoria.

Antonio Autieri