Il padre James della pellicola di John McDonagh (alle spalle la sceneggiatura di Ned Kelly e la regia di Un poliziotto da happy hour, sempre con Brendan Gleeson come protagonista) ha la stoffa di certi sacerdoti di Graham Greene o dei cristiani di Evelyn Waugh: poco ortodossi, con una fede continuamente messa alla prova dalle circostanze e dal carattere, drammaticamente sfidati da un mondo che del Cristianesimo e della Chiesa sembra non sapere più che fare. Non a caso nella pellicola i riferimenti ai casi di pedofilia nella Chiesa irlandese e alla frattura che hanno provocato nella società sono numerosi ed espliciti. Chi non dimentica, qui, è un uomo che è stato un bambino ferito da chi più aveva responsabilità nei suoi confronti e che per questo ha escogitato una vendetta a sua volta “ingiusta” quanto spettacolare: solo la morte di un prete buono e innocente potrà in qualche modo “pareggiare i conti” rispetto a un peccato imperdonabile e risarcire una sofferenza ingiusta che si trasforma in rabbia cieca.
Non è una confessione quella con cui si apre il film, quanto una dichiarazione di guerra: eppure padre James (uno che di suo sa menare le mani e che ha avuto in passato problemi di alcolismo) decide di trattarla come tale, intuendo il tremendo dolore che sta dietro questo piano folle; proprio per questo rifiuta la via d’uscita facile e sin troppo ragionevole offertagli dal suo superiore (denunciare e lasciare tutto in mano alla polizia) e affronta la sfida non tanto per orgoglio quanto nella speranza di giungere a una conversione. Se la Chiesa istituzionale, nei panni di un vescovo con più cavilli che misericordia e di un coadiutore parrocchiale molto ragioniere, non fa di sicuro una bella figura, la figura di un sacerdote raramente negli ultimi anni ha avuto un trattamento così onesto e profondo.
Padre James dimostra per la sua vocazione e per la Chiesa in cui essa è nata lo stesso amore burbero e tenace che ha nei confronti dei suoi parrocchiani, un’accozzaglia realistica (ma allo stesso tempo metaforica) dei peccati più comuni della contemporaneità (lussuria, avidità, violenza e ateismo militante e aggressivo); uomini e donne che sembrano scagliarsi contro quella roccia di prete nella speranza di abbatterlo, come un padre di cui non si riconosce più l’autorità ma a cui non si può fare a meno di guardare. Paradosso dei paradossi, padre James è davvero un padre: la sua è una vocazione adulta e tra i molti che nella settimana che segue la fatale confessione metteranno in crisi la sua posizione c’è anche una figlia di sangue, che non ha mai accettato la sua scelta, che interpreta come un abbandono; per reazione la giovane donna sfoga la sua domanda di senso in amori sbagliati che l’hanno portata fino al tentativo di suicidio.
Sullo sfondo di un paesaggio bello e drammatico, si dipana il calvario vero e profondo di un sacerdote che cammina verso un sacrificio volontario e apparentemente inutile sempre più solo, ferito a sua volta fino a mettere in dubbio anche il proprio essere prete, vivendo la tentazione della fuga e ritrovando il coraggio solo attraverso l’incontro con una donna la cui fede viene messa a dura prova, ma resta salda. La sceneggiatura di McDonagh è un misto di terragno realismo (volutamente provocatorio) e di spiritualità drammaticamente vissuta, intessuto di rimandi nascosti alle sacre scritture (in primis il racconto della passione di Gesù, che scandisce i giorni verso l’appuntamento fatale con un ritmo quasi teatrale), che non teme di mettere in scena le domande più fondamentali per un cristiano e per l’uomo in generale: il senso del male e del peccato, la sofferenza degli innocenti, la possibilità della redenzione e del perdono.
E alla fine, attraverso un drammatico show down che ha quasi del western, la storia si apre ad una sorprendente speranza, dove a una dottrina del peccato che pare senza via di salvezza si sostituisce una misericordia che trascende l’umano e nasce dal sacrificio di sé.

Laura Cotta Ramosino