Rex Walls è un padre affettuoso e grande sognatore, ma senza lavoro e con un debole per l’alcol. Con la promessa di costruire una vita felice per la propria famiglia lontano dall’ipocrisia del mondo moderno, vaga di città in città in compagnia dei quattro figli e della moglie e artista Mary Rose: trovare il luogo perfetto per costruire il proprio “castello di vetro” dal quale vedere le stelle è il suo sogno. Il progetto di una casa e di una vita all’insegna della semplicità è però sabotato da incidenti di percorso, violenti traumi e da uno stile di vita tanto originale quanto precario, che segnerà l’infanzia e la formazione dei quattro bambini. Molti anni dopo li ritroviamo alle prese con un passato ingombrante, che riemergendo assumerà valori e risvolti inaspettati…
Dopo il recentissimo Senza lasciare traccia, anche Il castello di vetro si riserva uno spazio all’interno di un filone cinematografico che fa dei rapporti famigliari il suo nodo cruciale e che tanto successo sta riscuotendo negli ultimi tempi. Anche in questo caso l’impulso narrativo proviene da una storia vera, raccontata da Jeanette Walls – scrittrice e giornalista – nell’autobiografia Il castello di vetro, grandissimo successo editoriale in patria e recentemente pubblicato in Italia da Piemme. Il regista Destin Daniel Cretton sceglie un’impostazione memorialistica, che incrociando piani temporali differenti ripercorre le fasi salienti delle vicende dei Walls; questo espediente mira a movimentare una narrazione che talvolta rischia di attorcigliarsi su se stessa, riuscendo però a trasmettere delle linee tematiche nette e capaci di un certo coinvolgimento emotivo: tra scene famigliari ai limiti della legalità e incidenti di varia natura che si presentano sulla via, emerge con forza un amore puro e incondizionato dei due genitori verso i figli, presi nell’avventura durante l’infanzia e via via sempre più esausti dei colpi di testa del loro padre. Se una rottura sarà inevitabile, è nel rapporto privilegiato tra Rex e la secondogenita Jeanette – vera protagonista della storia – che si trovano le sfumature più interessanti. Uomo indomabile e talvolta egoista fino alla crudeltà Rex resta impenetrabile perfino alla moglie: è invece una Jeanette ancora bambina a donargli la sua fiducia incondizionata, aprendo un varco in quella che poi si rivelerà essere una personalità tormentata da «un fuoco che brucia dentro la pancia». Purtroppo la scelta di rappresentare numerosissimi quadretti famigliari da una prospettiva distaccata non sempre ci permette di esplorare a fondo le psicologie dei due protagonisti principali, che soprattutto nel caso di Rex avrebbero meritato qualche approfondimento in più.
Naomi Watts nei panni di Mary Rose e Brie Larson in quelli di Jeanette adolescente – adulta fanno un lavoro eccezionale sui personaggi, ma è il capofamiglia Woody Harrelson a conquistare la scena e i cuori dello spettatore: in un lunghissimo arco temporale riesce a modulare movenze, fisionomia e micro espressioni mantenendo un carisma irresistibile, che nel suo caos non manca di mostrare anche un inquietante lato oscuro. Dialoghi e dinamiche narrative orbitano intorno ai sentimenti più semplici, forse prevedibili per i palati più raffinati, ma che nella loro prorompenza vengono trasmessi con una adesione al reale notevole e per nulla scontata. Il valore aggiunto del film risiede infine nella delicatezza con cui ritrae l’umanità delle figure genitoriali; nella fallibilità e nei limiti delle loro storie essi consacrano sé stessi alla vita dei propri figli, capaci di sacrificare anche quegli ideali apparentemente irrinunciabili che non possono non sgretolarsi di fronte alla prospettiva di un amore imperituro e assoluto.
M. Letizia Cilea