Se è vero, come sottolineava il grande Chesterton, che l'ironia è segno di straordinaria intelligenza, I soliti idioti è un film che non ne fa affatto uso. Il film che il regista Enrico Lando ha tratto dai corti televisivi della coppia Biggio-Mandelli, non ha nulla di quell'umorismo intelligente che pure ha attraversato e attraverso tanto cinema comico e in special modo la nostra, gloriosa Commedia all'Italiana. Vale la pena fare memoria di quei film, del nostro patrimonio, soprattutto quando, come in questo caso, la Commedia all'italiana viene citata a sproposito. Dai capolavori amari dei grandi Monicelli e Risi all'incredibile, amarissima, stagione di Fantozzi il cinema italiano per dei decenni ha raccontato, e riso, di personaggi come il vigile Otello Celletti di Sordi, o dei gassmaniani “Er Pantera” e Bruno Cortona o della Signorina Snob della Valeri, per non dire dei vari Filini, Fantozzi, Silvani e del leggendario geometra Calboni di Fantozzi. Erano personaggi volgari, facevano cose di cui vergognarsi, erano dei furbetti di quartiere, spesso solo vittime di se stessi e delle proprie meschinità, ma lo sguardo dei tanti registi che si sono alternati nella direzione di questi film era pieno di partecipazione ironica e anche di compassione, come se il geometra Calboni, uno che fa il gradasso con la cabrio a Cortina per far colpo sulla signorina Silvani, non fosse così lontano dalla realtà vera, magari da un collega di lavoro. E talvolta, a chi scrive capitava sempre, succedeva di rivedere in un personaggio o in un altro un tic personale, una debolezza malcelata. Di conseguenza quei personaggi, da maschere e tipi fissi, diventavano carne vera e restavano indimenticati, veri classici che hanno superato la prova del tempo. I soliti idioti è ben altro film. Il riferimento alla gloriosa commedia si ferma al titolo e alle dichiarazioni degli autori che hanno ammesso di essersi ispirati a tanti capolavori della commedia classica da I soliti ignoti agli episodi de I mostri. La realtà è ben diversa. Il film è poverissimo culturalmente e cinematograficamente. Dal punto di vista narrativo il film si articola secondo tanti diversi sketch con protagonisti Biggio e Mandelli. Gli episodi, che non sono collegati l'uno all'altro, sono variabili per lunghezza. Nell'episodio guida, un vecchio riccastro, Ruggero De Ceglie (Mandelli), deve cercare di “raddrizzare” il figlio Gianluca troppo ingenuo e stupido. Negli altri episodi: una coppia gay entra in crisi quando lui dichiara di essere in dolce attesa, un pony express metallaro deve consegnare un pacco ma farà incontri uno più folle dell'altro. ,Il film è debole: la forza degli attori è minima e la sceneggiatura, infarcita di tormentoni e volgarità, si limita a rabberciare gag già note al pubblico televisivo. Gli stacchetti musicali kitsch, la recitazione approssimativa, la volgarità esibita, certe gag trite e ritrite (Smutandissimi invece di Intimissimi) ricordano più che Monicelli e compagnia la deriva degli ultimi cinepanettoni. In Matrimonio a Parigi, un decrepito Massimo Boldi cerca di tenere insieme un film che fa acqua da tutte le parti e non fa ridere mai ricorrendo alla volgarità di personaggi come Rocco Siffredi e o di battute squallide (è il proprietario di TeleLecco). Nel film scritto da Mandelli e Biggio, si ritrovano gli stessi tipi fissi dei cinepanettoni, le stesse volgarità ma senza i tempi comici e della coppia De Sica-Boldi o la regia sicura di Parenti. Così il racconto è slabbrato, la comicità frammentaria sconfina spesso nel cattivo gusto (il rifacimento gay del martirio di San Sebastiano, la terribile vicenda dell'incidente stradale) e fa leva su una risata di pancia più che di testa. Lo sguardo del regista è cinico: non c'è partecipazione, solo volontà di sbeffeggiare i derelitti dell'Italietta. Si spara nel mucchio e nel modo più avvilente: squallide battute sui gay, rappresentazione ovvie dell'italiano cafone; una raffigurazione del razzismo (i tennisti a Milano) ovvia e superficiale. Si ride (se si ride) per reazione e nulla più. Se l'intenzione era quella di fare satira e usare il sarcasmo come arma, alla maniera di Borat , il risultato è fallito per il semplice motivo che Borat osava molto di più e perché Mandelli e Biggio non valgono un centesimo di quell'attore incredibile attore trasformista che è Sacha Baron Coen. Se l'intenzione era quella di trovare un nuovo filone del cinepanettone, siamo ancora molto lontani da certi titoli divertenti come Natale sul Nilo, un film triviale però retto da attori scafati e da una miriade di caratteristi di sicura esperienza. Qui invece con due giovanotti a fare da padroni e gli attori, quelli veri, a fare da tappezzeria (Gianmarco Tognazzi, Valeria Bilello, Marco Foschi sono semplici soprammobili), viene solo da rimpiangere Enzo Salvi, i Fichi d'India e, forse, persino il Bagaglino,Simone Fortunato