Durante la Seconda Guerra Mondiale, Mamie, una prostituta di San Francisco, si imbarca per Honolulu per cambiare vita. Durante il viaggio incontra lo scrittore Jim Blair con il quale instaura una relazione, ma arrivati a destinazione, i due si dividono e lei torna a fare la prostituta. Fino a quando l’aviazione giapponese attacca Pearl Harbour…
Raoul Walsh è stato uno dei grandi del cinema hollywoodiano, ha iniziato la carriera negli anni 10 del Novecento per finirla negli anni 60, attraversando più o meno tutti i generi (dal film piratesco al fantasy, passando per i war movie, i western, i gangster movie, le commedie e i melodrammi) e realizzando diversi capolavori sia nel muto (Il ladro di Bagdad) che nel sonoro (Una pallottola per Roy, Tamburi Lontani). In Femmina ribelle Walsh è alle prese con un convenzionale melodramma femminile, e il risultato è un film minore, seppur con spunti interessanti.
La trama, come già detto, non è particolarmente originale: anche l’ambientazione è derivativa di Da qui all’eternità (grandissimo successo di tre anni precedente), e perfino alcuni personaggi sono poco memorabili, ma quello che colpisce veramente è la figura della protagonista, Mamie. Il personaggio inizialmente venne scritto per Marilyn Monroe, che declinò la proposta, facendo così cadere la scelta sulla prosperosa Jane Russell, star di commedie musicali (tra cui il bellissimo Gli uomini preferiscono le bionde di Howard Hawks). La Russell regala in questa pellicola una delle sue migliori interpretazioni, finalmente in un ruolo drammatico. E, diretta dalla mano sicura di Walsh, disegna un meraviglioso ritratto di donna emancipata e insofferente allo sdegno di un moralismo borghese. Non stupisce che alla 74ma Mostra del cinema di Venezia, in giorni come i nostri dove si sente il bisogno di rimarcare il ruolo emancipato della donna nella società, si sia deciso di riproporre uno dei primi (e più espliciti) film sull’indipendenza della donna. Walsh è sempre stato un regista “virile” di cowboy, soldati e gangster, eppure come gli altri registi “virili” della sua generazione John Ford e Howard Hawks, è riuscito a regalare alcuni tra i più belli e moderni (e soprattutto veri) personaggi femminili del cinema classico.
Infatti anche in questo Femmina ribelle il regista non si limita a creare un personaggio che sia semplicemente l’insegna un po’ retorica di una battaglia per ottenere la propria indipendenza sociale, ma mostra come la tanto sospirata emancipazione alla fine si rivela malinconica se non è “per qualcuno”, in virtù di un rapporto con un altro. Così, nel meraviglioso finale, la ribelle Mamie si trova in mano l’indipendenza, rinunciando a tutti, e si riscopre triste e sola. Una storia (pur con tutti i suoi limiti) tanto veramente progressista da essere “all’antica”, raccontata da un regista “all’antica” con il suo stile secco e schietto e con un vigore e una potenza che solo il migliore cinema classico riusciva a raggiungere.
Riccardo Copreni