Il parallelo è fin troppo evidente, quando una nazione si chiama Panem e la sua massima celebrazione è un gioco nel quale 24 giovani si devono uccidere a vicenda davanti alle telecamere. Siamo tornati ai “panem et circenses” dell’antica Roma, dunque? È l’ipotesi della scrittrice americana Suzanne Collins, che ha già scritto tre volumi della saga di The Hunger Games, ambientati in un futuro prossimo nel quale gli Stati Uniti, dopo guerre e ribellioni, si sono trasformati in Panem, una grande area capitale circondata da 12 distretti subalterni. In memoria della pacificazione dopo le rivolte, ognuno dei distretti una volta l’anno deve fornire un ragazzo e una ragazza che parteciperanno a questi “giochi”: in un’arena naturale fatta di boschi, montagne e torrenti, e spiati momento per momento da innumerevoli telecamere, i giovani dovranno cercare di sopravvivere a vicendevoli attacchi all’arma bianca, finché l’ultimo rimasto uscirà vincitore e otterrà fama e benessere per il resto della vita. ,I libri sono già un fenomeno mondiale paragonabile a quello recente di Twilight o al meno prossimo Harry Potter, il film (almeno negli Stati Uniti) sta già incassando cifre stratosferiche, nonostante da molti si levino lamentele di scarsa aderenza al testo e banalizzazione di una storia molto più complessa e dai personaggi ricchi di sfaccettature. Chi non conosce il libro ma si appresta a guardare il film rimarrà colpito sicuramente da Jennifer Lawrence (già ammirata in Un gelido inverno del 2010): la ventiduenne attrice interpreta Katniss, che decide di offrirsi volontaria al posto della sorellina Prim, sorteggiata per rappresentare il distretto 12 insieme al giovane Peta. Katniss, già esperta nell’uso dell’arco che usa per cacciare e sfamare la famiglia, dalla sua zona povera e rurale si trova catapultata nello sfarzo e nell’atmosfera “televisiva” della capitale, dove verrà istruita e agghindata per le cerimonie che precedono l’inizio del gioco. Il film ovviamente dedica ampio spazio a questa moderna Roma nella quale parate e interviste servono a presentare i concorrenti e far convergere su di loro l’identificazione del pubblico. I cerimonieri dall’aspetto e dall’abbigliamento volutamente portato agli estremi (sembrano tutti figuranti per un concerto di Lady Gaga) si sforzano di costruire una vera mitologia su ogni concorrente e ottenere l’appoggio degli spettatori più ricchi e potenti, che all’occorrenza potranno intervenire per aiutare il proprio protetto nei momenti di maggior difficoltà. Tanto appare rutilante il cerimoniale di preparazione, quanto nel film è brutale l’ingresso nel gioco vero e proprio, che allo spettatore risparmia giusto le scene più cruente (anche perché difficilmente la censura avrebbe tollerato che i dettagli delle uccisioni venissero mostrate anche ai ragazzini). In un’atmosfera cupa e opprimente si svolge la tattica di Katniss per sopravvivere, memore dei consigli ricevuti e anche grazie all’aiuto di Peta, ben visto dagli spettatori. A differenza dei casi prima citati, in Hunger Games non ci sono magie o creature con poteri sovrannaturali, ma molto di quello spirito pioneristico che sempre rimanda gli americani alle loro origini: la natura ostile, la determinazione, l’uso delle armi come risorsa per la sopravvivenza. Un film violento, quindi, anche se offre spunti interessanti sulla psicologia di una ragazza che (a differenza dei suoi coetanei coinvolti) non ha nessun interesse né nella violenza, né nella competizione, ma cerca innanzitutto di tornare alla sua famiglia.,Beppe Musicco