Michael Moore è un regista che negli ultimi anni ha deciso di impegnarsi per denunciare i mali della società occidentale, con libri, conferenze e, ovviamente, con i suoi film. Se in Bowling a Columbine il destinatario delle sue invettive erano le leggi e consuetudini che permettono la libera circolazione di armi da fuoco negli Stati Uniti, la tesi (perché di questo si tratta), di Fahrenheit 9/11 è che dietro l’attentato alle torri gemelle ci sia una disastrosa gestione della cosa pubblica del presidente Bush, a causa delle commistioni economiche della sua famiglia e del suo entourage con i gruppi di potere saudita (Bin Laden inclusi) e che la guerra in Irak sia solo un pretesto per sviare l’attenzione dei cittadini del suo paese da questioni più scottanti. “Fahrenheit” è uno splendido esempio di retorica, nella migliore accezione di questo termine. Moore conosce a fondo il mezzo che usa, e per scuotere lo spettatore non esita a usare tutte le “armi” a sua disposizione: la disperazione dopo l’attentato alle Torri Gemelle, gli orrori della guerra in Irak, lo sgomento dei soldati Usa arruolatisi per sfuggire alla disoccupazione, i dubbi sulla legittima elezione di Bush a presidente, la cupidigia dei grandi gruppi industriali. Il regista si mette anche in gioco in prima persona, intervistando i parlamentari, proponendo agli stessi di far arruolare i loro figli nell’esercito, rinfacciando la loro ignoranza sulle leggi che essi stessi approvano. Con un colpo di genio, Moore è andato anche a ripescare il video che la maestra ha girato durante la visita in una scuola elementare del presidente l'11 settembre, che mostra Bush totalmente incapace di prendere una decisione per sette lunghissimi minuti, dopo essere stato avvisato di ciò che stava succedendo. Nel suo impeto moralistico, Moore usa tutti i colpi, compresi quelli sleali. Fare un operazione in stile “Blob”, mostrando l’ossessiva reiterazione di alcuni gesti che mettono in ridicolo i politici è molto facile, ma probabilmente chiunque mostrato “fuori onda” mentre si sistema i capelli diventa grottesco. E ancora: per dimostrare che la coalizione in Irak è in realtà dominata dagli Stati Uniti, il regista sceglie alcuni degli stati che ne fanno parte associandoli a immagini francamente razziste. Così, citando il Marocco, mostra delle immagini di beduini che ballano scompostamente, citando l’Olanda si vede un allegro fumatore di un enorme cannone di hashish, citando la Romania mostra un vecchio film con Dracula che si leva dalla tomba e l’Islanda è raffigurata da energumeni in abiti vichinghi. Molto divertente (tanto più che per una volta non si vede l’italiano vestito da mafioso) ma se fossi un rumeno o un olandese non sarei affatto contento. Da ultimo, mostrare la disperazione di una madre che piange il figlio soldato caduto in Irak è cosa che umanamente fa condividere il dolore, ma che può rivelarsi un’arma a doppio taglio, in un paese dove le forze armate sono composte esclusivamente da volontari. Insomma, “Fahrenheit” ha pregi indiscussi, è un atto d’accusa di grande ironia e umorismo sull’incompetenza, l’ottusità e le pessime amicizie di Bush, servirà a interrogarsi sul sistema dei media che ormai governa il mondo, ed è un ottimo esempio di maliziosa inchiesta giornalistica. Ma, come ha osservato anche il regista francese Jean-Luc Godard (che ideologicamente è anche più schierato di Moore), è un documentario e non un film. E (aggiungiamo noi), averlo fatto vincere al Festival di Cannes farà sicuramente sentire tutti dalla parte dei buoni, ma non rende un buon servizio al cinema.,Beppe Musicco

Fahrenheit 9/11
Scarica in PDFMichael Moore è un regista che negli ultimi anni ha deciso di impegnarsi per denunciare i mali della società occidentale, con libri, conferenze e, ovviamente, con i suoi film. Se in Bowling a Columbine il destinatario delle sue invettive erano le leggi e consuetudini che permettono la libera circolazione di armi da fuoco […]