Dheepan è un uomo in fuga dalla sua terra, lo Sri Lanka. Scappa da una guerra civile, che ha combattuto tra i guerriglieri Tamil e che gli ha portato via i compagni e soprattutto moglie e figli. Ma per andar via e poter richiedere l’asilo servono documenti “buoni”, e quelli che si procura sono di una famiglia di tre persone sfortunate, morte anch’esse: servono però una moglie e una figlia; così si mette d’accordo con una giovane donna, che a sua volta al campo profughi trova una bambina orfana che “diventa” loro figlia. Dopo un viaggio avventuroso, in Francia i destini dei tre dovrebbero separarsi (la donna vuol raggiungere una cugina in Inghilterra), ma poi si ritrovano costretti a continuare la finzione. E trovato anche un lavoro (lei badante, lui custode di un condominio), si potrebbe tentare davvero di esserlo, una famiglia; magari immaginare una vita normale, se non felice. Anche se il contesto in cui si ritrovano non è dei più tranquilli: uno spazio circondato da palazzoni dove si ripropone un contesto di scontri e battaglie, tra etnie in contrasto tra loro. È possibile, per Dheepan e la sua giovane “moglie”, sperare in un futuro diverso?
Il regista francese Jacques Audiard (Tutti i battiti del mio cuore, Il profeta, Un sapore di ruggine e ossa) racconta una storia che più attuale non si potrebbe: la fuga da una guerra, il destino di alcuni profughi, le speranze di persone catapultate in un mondo lontano e sconosciuto a cominciare dalla lingua. Difficile integrarsi, e la più fragile dei tre – la bambina, che in certi momenti ognuno dei due vorrebbe scaricare sull’altro – è poi la prima a superare gli ostacoli a un inizio di inserimento. Ma il castello costruito da Dheepan può crollare da un momento all’altro. Come la pretesa di essere qualcosa – un marito, una famiglia – che è solo frutto di uno stratagemma. Audiard rende temi, tensioni, umori con la sapienza di uno stile discreto ma non piatto, che non schiaccia mai la storia che racconta ma la puntella di uno sguardo partecipe e coinvolgente: molti i momenti indimenticabili, come la fuga notturna su una fragile imbarcazione che diventa – con un veloce salto temporale – una notte altrettanto pericolosa di fuga dalla polizia parigina, l’ambiguità di un traduttore che può metterli in difficoltà, la paura che le varie gang della nuova città generano di continuo, e anche certi momenti di allucinazione e violenza sconvolgenti – su tutti, la scena che anticipa il finale – e allo stesso tempo cinematograficamente potenti.
In un film teso e drammatico, non mancano i momenti lievi: c’è uno sguardo affettuoso sulle loro goffaggini e una mano delicata nel raccontare l’inizio di familiarità tra i due “sposi”, le prese in giro di lei al suo scarso senso dell’umorismo, i sentimenti che si fanno strada in lui; senza mai scivolare in un impossibile idillio. Dheepan, che ha vinto il festival di Cannes 2015, mostra un uomo che si ritrova di fronte a un passato che torna a chiedergli il conto e immerso in una nuova guerra dopo che pensava di essersela lasciata alle spalle. Ma è anche una storia emozionante di apertura all’altro, un altro che ti ritrovi accanto senza volerlo.
Antonio Autieri