Elisa e Alessio sono molto diversi tra loro, e si amano molto: lei è precisa e metodica, lui arruffone e disordinato. Il loro amore tra portando una nuova creatura, e quando una perdita di sangue fa correre Elisa in ospedale lei teme di averla persa. Invece, la piccola – è una bambina – sta bene: ma si scopre un tumore, di rara aggressività. Come dirlo ad Alessio? E cosa fare? Quando capirà di avere poco tempo, la sua preoccupazione sarà aprire un dialogo con Anna, la figlia che non vedrà crescere. Attraverso 18 regali, uno per ogni anno fino alla maggiore età: giochi, vestiti, poi cose o occasioni sempre più “da grandi”. Solo che, crescendo, Anna di quei regali si stanca presto. E freme di ribellione verso una vita che sente come una gabbia, nonostante l’affetto paterno.
18 regali, quarto film di Francesco Amato che già apprezzammo per la commedia Lasciati andare, prende le mosse dalla vicenda di Elisa Girotto: quando morì, poco più di due anni fa, la sua storia commosse tante persone, per il coraggio mostrato di fronte alla malattia e per l’idea di non arrendersi da sconfitta alla morte imminente. Elisa decise di utilizzare gli ultimi mesi con alcune scelte importanti: anticipare il matrimonio con il compagno e lasciare qualcosa di tangibile di sé alla figlia, i regali che lei non le avrebbe potuto dare di persona. Creando un ponte d’amore tra una madre e una figlia, separate fisicamente. Ma questa è stata solo l’ispirazione iniziale, seppur potentissima, che poteva portare a un’opera ingessata e non all’altezza di un fatto di cronaca simile. Il film diretto da Amato, che lo ha scritto insieme a Massimo Gaudioso e Davide Lantieri e coinvolto nella preparazione il marito di Elisa Alessio Vicenzotto, mette in scena un azzardo rischiosissimo: noi vediamo infatti la figlia Anna – che oggi ha solo tre anni – proprio quando sta per diventare maggiorenne, e si ribella definitivamente; e questa ribellione la porta, in modi che lo spettatore scoprirà, a stabilire un contatto impossibile con la madre.
La svolta – tra il fantasy e il metafisico: ma è tutto comprensibile, alla fine – pone lo spettatore da un lato nella posizione di scegliere se fidarsi del narratore e abbandonarsi al racconto, aiutato in questo dalle due interpreti principali; dall’altro offre una possibilità cinematograficamente intrigante, con un rapporto altrimenti impossibile tra questa madre – che non sa chi ha di fronte – e questa figlia. Un’occasione, per Anna, per conoscere chi l’ha amata da subito, senza poterle vivere accanto; e che se qualche volta ha sbagliato (certi regali hanno il difetto di immaginare cosa sarà un figlio, quasi come dovrà vivere: e quale genitore non corre questo rischio?), l’ha fatto per un amore lancinante. Ma anche per fare, in qualche modo, coraggio a quei due futuri genitori scombussolati dal dolore. 18 regali, a tratti, ricorda quei film americani in cui si viaggia nel tempo (in alcune scene viene da pensare al primo Ritorno al futuro) e soprattutto quelli in cui si elabora il lutto o si anticipa la propria perdita (My Life di Bruce Joel Rubin che fu anche sceneggiatore di Ghost). La differenza è in un pudore nel mettere in mostra una materia ad altissima intensità emotiva, che fa commuovere in molti momenti del film senza colpi bassi. Ma senza nemmeno vergognarsi della naturalezza della vita, e delle emozioni che genera. Il tutto ambientato in una provincia italiana, non definita, che amplifica l’impressione di verità della storia.
Per ottenere un simile risultato, occorrevano alcuni interpreti talentuosi e sensibili esaltati da un’ottima direzione degli attori (come già si era visto in Lasciati andare). Sono bravissime le protagoniste: Vittoria Puccini, nel suo ruolo migliore, ha finalmente una chance di mostrare qualità finora solo accennate a sprazzi, mentre Benedetta Porcaroli (al cinema si era notata in un piccolo ruolo in Perfetti sconosciuti, ma è alla tv che deve la popolarità per le serie Tutto può succedere e Baby) porta in dote la freschezza nervosa dei suoi vent’anni e un talento promettente. Più a lato ma importante è il bravo e vibrante Edoardo Leo, ma regalano più di un’emozione anche Sara Lazzaro nei panni dell’amica e Betti Pedrazzi e Marco Messeri in quelli dei nonni. Come la scena in cui questo padre e nonno si erge a fare un discorso, in divisa militare, e ammette tra le lacrime la difficoltà a esternare i propri sentimenti. Strappando commozione anche alle pietre. Uno dei momenti che ricorderemo di questo film ricco di sensibilità, cognizione del dolore e amore per la vita e per gli esseri umani.
Antonio Autieri