Trash è girato con uno stile che mescola realismo e poesia, tra inseguimenti coreografati tra i quartieri colorati di Rio (le immagini ricordano quelli di La città di Dio di Mereilles, che non a caso figura tra i produttori) e momenti di grande intensità emotiva. Il regista Stephen Daldry (quello di Billy Elliott e Molto forte incredibilmente vicino, oltre a The Hours e The reader), che parte dalla bella sceneggiatura di Richard Curtis (celebre autore di commedie) tratta da un romanzo di Andy Mulligan, si immerge nella realtà di un Brasile fatto di contraddizioni stridenti (all’estremo opposto della favela ci sono i quartieri dei ricchi, ma l’altrove è il mare, luogo di bellezza e pace) un po’ come aveva fatto Danny Boyle con l’India di The Millionaire. ,Lo sguardo che guida lo spettatore nella storia è quello di due bambini di strada che, nonostante la loro condizione miserevole (sono nati e cresciuti in una favela accanto a una discarica e come tanti altri ci lavorano ogni giorno sperando di raccogliere qualcosa di valore con cui comprare da mangiare), conservano sulla vita e sul futuro uno sguardo positivo e avventuroso. Non è estraneo a ciò il fatto che siano animati da una fede autentica e solida, che li accompagna anche nei momenti più difficili e li rende curiosi e coraggiosi abbastanza da sfidare autorità prepotenti e crudeli, per cui davvero i poveri sono solo “spazzatura” che può essere eliminata senza un attimo di esitazione. La stessa fede li rende anche capaci di perdonare i loro carnefici e immaginare anche per loro un destino di bene.,Del resto, e di questi tempi è davvero una novità, nel film ci sono anche altre figure positive legate alla religione: un sacerdote (il sempre bravo Martin Sheen), collerico e generoso, che sembra uscito da un romanzo di Graham Green (o anche da una delle prediche di Papa Francesco, che invoca pastori con addosso l’odore delle pecore… In questo caso mescolato anche a quello dell’alcol), difende i suoi piccoli parrocchiani e apre la sua chiesa alla gente della favela, e una giovane volontaria americana, forse un po’ ingenua, ma sicuramente mossa da un autentico amore verso i giovani protagonisti per cui spende la il suo tempo e rischia la sua vita.,Daldry riesce qui con sorprendente equilibrio a sfuggire il rischio di un’eccessiva idealizzazione della comunità dei favelados così come quella dei rapporti tra persone; allo stesso tempo, però, evita di appesantire una storia di speranza con dosi di violenza eccessive inserendo con abilità nell’impianto drammatico elementi di realismo magico. Quel che ne esce è un’opera capace di commuovere e far pensare senza essere moralistica o didascalica, piena di spirito “anarchico” infantile quanto di sorprendente pietas e maturità.,Luisa Cotta Ramosino,