Avatar, Godzilla, Transformers e anche un pizzico di Top Gun, almeno per quanto riguarda la rivalità tra i piloti, purtroppo non sviluppata pienamente. Pacific Rim è innanzitutto questo: un collage di tante suggestioni sci-fi e non solo, di straordinario impatto visivo (ma ormai siamo abituati a uno standard altissimo per quanto riguarda la fantascienza, almeno negli ultimi anni). Il film di Guillermo Del Toro (La spina del diavolo, Hellboy, Il labirinto del fauno) parte subito in quarta: in pochi minuti e attraverso la voce fuori campo di quello che si scoprirà essere il protagonista, si fa chiarezza sullo scenario terribile e apocalittico in cui si trova il pianeta Terra e i suoi abitanti. Attaccata da anni da terribili creature mostruose chiamate Kaiju, all'inizio l'umanità ha cercato di fermarli con armi convenzionale ma, rivelatisi da subito inadeguate, è stata messa a punto negli anni un'arma più efficace, gli Jaeger, sorta di robottoni simil Transformers pilotati all'interno da due piloti collegati tra di loro e alla macchina attraverso il cosiddetto 'drift', una specie di collegamento neuronale. Ma anche gli Jaeger, di fronte a una quinta generazione di Kaiju, sembrano poter fare poco. Buon intrattenimento, di grande livello sotto il profilo degli effetti: gli scenari sono incredibilmente vividi e realistici così come i mostri che – è l'aspetto di maggior valore del film – sono un chiaro e accorato omaggio al mostro più grande, terribile e per certi versi simpatico che abbia mai dominato lo schermo cinematografico del Dopoguerra, il magnifico Godzilla di cui Del Toro riprende molte situazioni tipiche, dall'indifferenza propria del mostro che ha sempre dimostrato nei confronti dell'umanità nel corso degli anni e dei tanti film (stiamo ovviamente parlando del Godzilla originale, quello nipponico, e non certo del brutto, deforme e stupido lucertolone americano del 1998) a un design delle creature che richiama in effetti tanti altri esseri con cui Godzilla è venuto a che fare. Non è il solo omaggio al mostro giapponese: c'è anche una bella sequenza in acqua con tanto di barca di pescatori capitati nel posto sbagliato nel momento sbagliato che è un chiaro riferimento al film inaugurale della saga, il Godzilla (anzi Gojira) di Honda del 1954. Per Del Toro, regista appassionato di fantasy, mostri, fumetti, insomma un vero fan proprio come il personaggio interpretato nel film dal simpatico Charlie Day, il dottor Newton, che studia i cervelli dei Kaiju cercando un modo per interagire con loro ma non riesce mai a nascondere la propria 'insana' passione per queste creature gigantesche, Pacific Rim è un giocattolone che gli consente di spaziare tra tante figure e situazioni già viste al cinema e, evidentemente, adorate. C'è l'interconnessione neuronale di Avatar, in realtà ripreso su tanti livelli, non ultimo, anche se sviluppato debolmente dal punto di vista narrativo, quello ecologista. C'è tutto il tema, tipico di certa fantascienza dei robot (Robocop, Terminator) del rapporto uomo-macchina. E c'è anche l'aspetto ludico di Transformers su cui gli Jaeger sono ricalcati accanto a una ripresa, in realtà un po' confusa, degli anime robotici (Mazinga, Daitarn 3, Daltanious e tanti altri) della fine degli anni 70. Un giocattolone quindi che visivamente, anche per un ottimo uso del 3D, non deluderà gli appassionati della fantascienza e del cinema degli effetti speciali. A deludere sono altre cose: una sceneggiatura, esile esile, in cui a dominare, specie nella seconda parte, è una certa retorica insopportabile. Del Toro, che firma anche lo script assieme al Travis Beacham di Scontro tra titani cura molto l'azione ma poco l'introspezione dei personaggi, fondamentale quando, come in questo caso, l'intero cast non brilla di luce propria per carisma o grandi talenti interpretativi. Certo, gente come Ron Perlman, grande caratterista e interprete di Hellboy assicura il divertimento così come Idris Elba, certamente il migliore del cast, interpreta Marshall Pentecost con grande efficacia. Ma non sono uomini d'azione e non reggono da soli un intero film in cui invece grosso spazio è dato alla coppia di piloti Becket/Mori interpretati rispettivamente dall'inglese Charlie Hunnam e dalla giapponese Rinko Kikuchi. I due incidono poco, soprattutto la giapponese, e anche il legame che si instaura tra di loro, con tanto di fantasmi del passato da superare, è davvero gestito in modo banale in sede di sceneggiatura. Un problema, quello dello script, che è sempre stato il tallone d'Achille di Del Toro sin dai tempi dei suoi primi film, con l'eccezione del capitolo secondo di Hellboy. Un regista visionario, capace come pochi di intrattenere e di rendere alla portata di tutti una cultura cinematografica molto ampia ma che ha sempre avuto difficoltà nel rendere credibili personaggi e soprattutto le svolte del racconto.,Simone Fortunato