Il libro di Francis Scott Fitzgerald uscì nel 1925, venne salutato dalla critica (T.S. Eliot in testa) come una vera novità per la letteratura americana e in brevissimo tempo divenne un classico, tanto da essere studiato ancora oggi in tutte le scuole del paese. La storia di Jay Gatsby, passato dalla povertà dell’America rurale ai fasti delle ville di Long Island dove abitano i ricchi e potenti di New York, fotografa la realtà statunitense dei ruggenti anni 20, prima che lo spettro della “grande depressione” del 1929 si presentasse all’orizzonte. Era un’epoca di continua crescita, di favolosi guadagni in Borsa, di arricchimento sfrenato, che vedeva nascere ogni giorno nuovi magnati i cui capitali erano spesso di dubbia provenienza. E questo è anche il caso di Gatsby (ricco per i loschi traffici di contrabbando) che, nonostante la ricchezza e l’aura di fama che lo circonda, non riesce a coronare il suo sogno, sposare Daisy Fay: un’ereditiera di cui si era innamorato in gioventù e che gli si era promessa, salvo poi sposare Tom Buchanan, facoltoso giocatore di polo, mentre Gatsby era in guerra in Europa.
Baz Luhrmann, già regista di film famosi come Romeo+Juliet e Moulin Rouge!, decide di accentuare il carico drammatico della vicenda nel sottolineare lo sfarzo e il caos dei ricevimenti di Gatsby, che contrastano tragicamente col dolore del protagonista, la sua incapacità di cogliere la realtà, e la fatuità di tutti i personaggi il cui unico scopo sembra sfuggire la noia con l’alcol e le feste. Per raggiungere lo scopo, Luhrmann usa tutte le armi a sua disposizione (e i notevoli capitali investiti dalla Warner Bros): riprese 3D, costumi scintillanti, scene di massa, una fotografia che enfatizza gli spazi e i colori, una colonna sonora che mescola artatamente il jazz del tempo con la musica contemporanea (una scelta che riprende quella dei balletti e dei duetti di Moulin Rouge!). Scelta che in più punti potrebbe disorientare lo spettatore, se non fosse per il talento di Leonardo DiCaprio, impeccabile nei suoi abiti dal taglio perfetto, impegnato a rendere il tormento di chi è alla costante ricerca di qualcosa che sembrerebbe alla portata di un essere ricco e potente, ma che risulta inafferrabile e sfuggente, come la luce verde dall’altra parte della baia che balugina nella nebbia e che rimira tutte le sere. Rafforzato da Tobey Maguire nel ruolo di Nick, narratore e amico di Gatsby, e da Carey Mulligan in quello di Fay, bella e vuota come una bambola, il film si presenta come una fastosa cornice in cui sono posati personaggi la cui interazione a volte è oggettivamente faticosa e richiede allo spettatore un certo sforzo per immedesimarsi nelle tensioni emotive della vicenda. A chi ha già visto il film del 1974 con Robert Redford e Mia Farrow (sceneggiato da Francis Ford Coppola), verranno facili i paragoni a discapito di questo dei nostri giorni. Ma ogni epoca ha il suo cantore; e lo sfolgorio rumoroso e sovraffollato di Luhrmann evidentemente ben si adatta ai ritmi e alle possibilità tecnologiche di oggi.
Beppe Musicco