Randy Robinson, detto “The Ram” (ovvero “l’ariete”), è un ex campione di wrestling rovinato dai combattimenti e dagli eccessi. Ingrassato, alcolizzato, lasciato da moglie e figlia, vive in una roulotte in perenne miseria e allietato solo dall’amore mai venuto meno dei fans nonostante siano passati vent’anni dalle sue imprese. Per vivere e per assaporare ancora briciole di fama, alterna a lavori saltuari scontri con vecchi colleghi e anche atleti più giovani. E quando si avvicina l’ipotesi di una rentrée con il rivale di sempre, un infarto lo costringe a fermarsi. Cerca allora di riavvicinare la figlia, mentre un nuovo amore fa capolino nella sua vita. Ma sempre torna a riprenderlo il demone dell’autodistruzione.

Nel cinema americano la caduta e rinascita (e poi, magari, di nuovo la discesa all’inferno) dell’eroe dissoluto, meglio ancora se sportivo, è un topos che non finisce mai di essere ripreso. Spesso con ottimi risultati: così, anche in The Wrestler, il film del giovane Darren Aronofski che ha vinto alla Mostra di Venezia il Leone d’oro, sembra di vedere la “solita” storia. E in effetti nella parabola del campione di wrestler (sport – se così lo si può definire – violentissimo e finto al tempo stesso) interpretata in maniera eccezionale dal redivivo Mickey Rourke ci si vede in controluce quelle di altri personaggi del cinema, su tutti il Sylvester Stallone di Rocky e il Jon Voight di The Champ di Zeffirelli; anche se il tasso di violenza è molto superiore in questa storia di un perdente in cui Rourke mai così bravo (meritava l’Oscar come miglior protagonista) ci mette dentro tutta la sua esperienza di ex pugile (il suo corpo è davvero devastato, tanto da rendere irriconoscibile il divo e sex symbol di Nove settimane e mezzo) e la sua esistenza di degrado e squallore, di droghe e di esperienze sentimentali fallimentari.

The Wrestler è un film duro e disperato, che racconta il disfacimento di un uomo e lo squallore della sua vita; ma riesce anche a toccare momenti di grande commozione nel raccontare il rapporto con la figlia che lo detesta e con una spogliarellista che lo ama e vorrebbe essere amata. Merito di una sceneggiatura ricca di sensibilità, di uno stile semplice ma coinvolgente e delle interpretazioni di ottimi attori (oltre a Rourke, anche Marisa Tomei e Evan Rachel Wood). E la sequenza finale rimane indelebile nel cuore.

Antonio Autieri