Giovanni Veronesi: sa vendersi e sa vendere le proprie idee riuscendo a catalizzare l’attenzione dello spettatore. Gli danno ragione gli incassi del primo “Manuale d’amore” e anche il successo commerciale di questo secondo episodio. Gli ingredienti di un successo comunque annunciato? Un parterre di attori, di nomi di grido, veramente imponente, per tutte le età e per tutti i gusti: da Monica Bellucci al giovane Riccardo Scamarcio, passando per le navigate maschere comiche di Rubini, Albanese e Verdone. Un incessante battage pubblicitario trainato da musiche giuste e da un presunto scandalo che almeno sullo schermo proprio non si vede (la tanto annunciata scena bollente di sesso estremo tra la Bellucci in camice da dottoressa il semiparalizzato Scamarcio). Ma è soprattutto la struttura a episodi che appare vincente: perché il film appare vario, a tratti divertente, leggero e disimpegnato. Soprattutto, la struttura agile e leggera dell’episodio ben si adatta a sceneggiature e personaggi deboli che non avrebbero la forza di occupare un film intero. Tant’è, comunque: Manuale d’amore 2 appare semplice e brioso. Scorre via, a tratti divertente. Ma appare, appunto. È solo facciata. A ben vedere il film di Veronesi è un pamphlet freddo, spietato e “progressista”, indirizzato contro quel pezzo di cultura cristiana che è ancora rimasto nel nostro Paese. Tanti episodi, infatti, ma un unico giudizio: l’amore è relativo e ha tante facce. Il lato omosessuale e eterosessuale. L’amore adultero e l’amore come un’avventura, come quella della coppia Scamarcio e Bellucci, che vivono la passione prima della tomba del matrimonio. A fare da collante tra un episodio e l’altro le sentenze del deejay Fulvio (Claudio Bisio), vera e propria voce narrante nel film. Tante opinioni quelle del simpatico deejay, come quella d’apertura: “L’eros è una forza primordiale che domina l’uomo. L’eros come sogno, come fantasia segreta a cui è impossibile resistere”, e via discorrendo. Tante (banali) opinioni, un’unica certezza: il matrimonio da cui vorrebbe fuggire la Bellucci e in cui è intrappolato il personaggio di Carlo Verdone è una tomba. È noioso, isterico (l’episodio con Fabio Volo protagonista) o traccia di un passato annoiato e da rimuovere (l’episodio con Rubini interprete principale). Tutto il resto è possibile, anzi preferibile: l’amore adultero vissuto senza pentimento (“Comunque ne è valsa la pena”, dice un disperante Carlo Verdone, tornato dalla moglie dopo la sbandata presa con una ragazzina); l’amore come capriccio (l’episodio intitolato “La maternità”, vero e proprio spot contro la Legge 40); la famiglia omosessuale suggellata dallo Stato e aperta all’accoglienza di figli. “Manuale d’amore 2” più che un film è uno spot, anzi sono tanti spot, la cui unica ragione di esistere è il prodotto da vendere o da inculcare: nel film tutti bevono la stessa acqua, guidano le stesse macchine, sorseggiano la stessa birra (anche in ospedale!); leggono persino lo stesso terribile libro (del fratello del regista!). Tutti hanno le stesse idee progressiste e laiciste, esibite come vessilli, come armi di mistificazione di massa. Idee nuove a proposito di fecondazione assistita, matrimonio omosessuale e famiglia “tradizionale”. Tutto è belle facce, begli interpreti, battute riuscite. Tutto è, disperatamente gaudente e politicamente corretto. E in sala ci si diverte, si trangugia tutto come se fosse vero, come se fosse tutto ovvio. Divertiti e omologati, come in altri tempi profetizzava Pasolini.,Simone Fortunato,