Forse non tutti sanno che Pupi Avati, diversi anni fa, ebbe una discreta carriera come musicista jazz. Il suo nuovo film, “Ma quando arrivano le ragazze?”, si basa proprio sui ricordi del Pupi Avati giovane jazzista (potremmo dire il Pupi Avati pre-regista) ed è, a detta dello stesso autore, il film più “spudoratamente autobiografico che abbia mai girato”. Gianca (Paolo Briguglia, l’alter-ego del regista) è un ragazzo bolognese appassionato di jazz che studia il sassofono ed è figlio di un musicista fallito sull’orlo dell’alcolismo (un bravissimo Johnny Dorelli). Nick (Claudio Santamaria) è un ragazzo un po’ sbandato con la passione della tromba, che lavora in un distributore di benzina. Anche lui si interessa di jazz e, pur essendo in tutto e per tutto un autodidatta, suona molto, molto meglio dell’amico. Per Gianca, nel frattempo innamoratosi di Francesca (Vittoria Puccini), la presenza di Nick nella sua vita significherà molte cose, tra cui la presa di coscienza di non avere talento e il conseguente indirizzamento verso una vita sicura dal punto di vista professionale, ma anche piatta e priva di soddisfazioni. Il film è la storia di un’amicizia difficile, sofferta, segnata da un grande solco: il talento per la musica che o lo si ha, o non lo si ha. Ed è proprio quello che accadde ad Avati molti anni fa: quando conobbe il giovane e talentuoso Lucio Dalla decise di lasciare per sempre la carriera musicale. Il film diventa allora il racconto del triste allontanamento da qualcosa che si ama perché ci si rende conto di non essere abbastanza bravi per affrontarla, per impararla. E talvolta il prezzo da pagare può essere ancora più alto: in fondo Gianca non saprà mai che cosa ha lasciato l’amico Nick nel cuore di sua moglie Francesca, per un momento amata da entrambi. Il sospetto che lei possa amare “l’immagine” di ciò che lui non è mai riuscito ad essere, probabilmente, lo tormenterà a lungo. ,Pupi Avati gira con la consueta delicatezza che contraddistingue i suoi film drammatici: attori molto posati, una protagonista femminile eterea e sfuggente, un’atmosfera malinconica e nostalgica per un tempo della vita che non torna più, i rapporti umani difficili e sofferti, talvolta laceranti, la musica e il gioco (in questo caso la musica) come metafora della vita. Anche questa volta, come in alcune opere precedenti molto interessanti (“Una gita scolastica”, “Regalo di Natale”), l’amicizia ha un’altra faccia che provoca sofferenza e i protagonisti, spesso, finiscono sconfitti e escono di scena da perdenti. Se pensiamo poi che tutto questo è condito da una struggente (e bellissima) colonna sonora jazz composta da Riz Ortolani, possiamo capire ancora meglio quanto sia dolente e triste l’atmosfera del film. Ma questo senso di tristezza non compromette una sceneggiatura con alcune riflessioni interessanti, e nemmeno la bella prova degli attori che, per motivi differenti, restano dentro allo spettatore.,Francesco Tremolada