L’estroso Terry Gilliam, genio beffardo e politicamente scorretto, autore strampalato, capace di capolavori assoluti (Brazil; L’esercito delle 12 scimmie), ma anche di film arzigogolati e cerebrali (Paura e delirio a Las Vegas), di fronte a un nuova impresa. Quella di mettere in scena non una semplice favola, ma le favole e i suoi inventori più celebri e inquietanti, i fratelli Grimm. L’impresa è riuscita, anche se con qualche riserva: l’aspetto più potentemente attuale e scorretto è la rappresentazione del lato oscuro delle favole, l’anima nera e cupa che rende il film quasi una sorta di pamphlet anti-illuminista (e antinapoleonico). Protagonisti laidi, imbruttiti (sono quasi irriconoscibili i divi Damon e Ledger) alle prese con la menzogna delle favole e con la superstizione bigotta dei contadini, sullo sfondo dell’occupazione delle truppe francesi sul suolo tedesco. La guerra, quindi, come sfogo dell’irrazionale ma anche la complessità di personaggi che, apparentemente caricaturali, sono un bel giudizio sull’attualità (e il Potere impersonato da uno strepitoso Jonathan Pryce è molto più realistico di quanto sembri). Dai tempi di Brazil, Gilliam, non ha cambiato né registro né bersagli: e così ecco la figura grottesca e della strega incantata dalla propria stessa bellezza, l’immagine caricatissima di un Potere raffigurato come burocrati senza cervello e nell’intrico di una selva oscura senza fine, due eroi scettici loro più di altri nei confronti delle proprie storie. Barocco, complesso, antidisneyano, non sempre fluido dal punto di vista narrativo, ma in definitiva una bella risposta alla solarità omologante e senza prospettiva di molte favole cinematografiche.,

Simone Fortunato