Per il dottor Robert Legard la morte in un incidente della moglie (carbonizzata nel rogo della sua auto) fu uno choc. Quella tragedia lo portò a ritirarsi all’attività di chirurgo, ma non dagli esperimenti – teorizzati in convegni internazionali – sulle plastiche facciali; o meglio, dalla ricerca sui trapianti di pelle per casi gravissimi di ustioni (in modo da “costruire” una pelle resistente a tutto), esperimenti contestati dalla comunità scientifica per la spregiudicatezza, che lo porta a considerare lecite pratiche eticamente illegittime. Ma la sua zona d’ombra è dentro casa, dove il dottor Legard osserva da un monitor enorme una ragazza di nome Vera, reclusa nella sua grande villa e sorvegliata in sua assenza – oltre che da videocamere ossessive – da un’anziana governante. Ma chi è Vera, e perché sembra accettare la situazione?,Pedro Almodovar, le cui qualità da regista sono evidenti, in La pelle che abito non riesce a gestire – e la cosa gli capita sempre più spesso – una storia complessa in cui a un certo punto troppi colpi di scena, flashback, e inverosimiglianze si accumulano senza posa. Quando irrompe nella casa del chirurgo un uomo in fuga dalla polizia, vestito con un abito carnevalesco che rappresenta una tigre, si fa strada il sospetto che la logica vada a farsi benedire. Sarebbe il meno, con il regista spagnolo spesso è più una questione di pancia che di testa. Ma stavolta gli ingredienti, sempre robusti ma in passato in grado di servire cocktail di sostanza, sono troppi e mal miscelati. Tra cambi di sesso, violenze, segreti, parentele dissimulate, amori folli e morti che lasciano il segno, il film desta a tratti solo qualche isolata ammirazione senza suscitare granché emozioni; nonostante, appunto, una capacità di tenere avvinto lo spettatore che meriterebbe una storia all’altezza, e una maggiore passione alla ragione (si esaspera la sensazione che la vita è la somma di esperienze, confuse, provate e non giudicate). Con il suo nuovo film Almodovar va a mettere in scena teoremi e ipotesi – fino a che punto si può spingere la vendetta? È possibile amare chi si è odiato visceralmente e che ti ha fatto tanto male? – a tavolino, che con la vita c’entrano poco (com’era quasi sempre riuscito a fare in precedenza). Gli eccessi, che sono quelli che l’hanno reso noto, non disturbano in sé (alla lunga diventano, anzi, ridicoli), quanto nella loro inutilità complessiva; e non basta il mix, stavolta mal bilanciato, con l’amato melodramma per salvare il film. Infine, l’ottima prova degli interpreti – da Antonio Banderas, che fu lanciato dal regista iberico vent’anni fa, alla “storica” musa Marisa Paredes, alla new entry della sua scuderia, la giovane Elena Anaya – non fa che aggravare la sensazione di delusione: con quel materiale, anche umano, si doveva fare meglio.,Antonio Autieri,

La pelle che abito
Un chirurgo, ritiratosi anzitempo, tiene reclusa nella sua villa una ragazza. Quale mistero c’è dietro?