Inghilterra e India sono ancora unite sotto un unico regno? Certamente, se si parla di cinema che sempre più spesso associa la grande letteratura inglese dell’Ottocento con i fasti del cinema boollywoodiano. Di recente è avvenuto per “Matrimoni e pregiudizi” dove dei personaggi austeniani venivano immessi nell’India contemporanea, nella quale il matrimonio combinato è ancora realtà. Meno estrema è l’operazione di “La fiera della vanità”, trasposizione cinematografica dell’importante e imponente (quasi novecento pagine) romanzo di William Makepeace Thackeray. Storia di un’arrampicatrice sociale, Becky Sharp, pronta ad usare la sua arguzia e sensualità per entrare nell’ovattato mondo dei salotti londinesi. Come un altro immortale personaggio di Thackeray, Barry Lyndon, Becky finirà per distruggere i pochi affetti che potrebbero vincere la vanità di una vita condotta al di sopra dei propri mezzi. Una vanità che colpisce quasi tutti i protagonisti, in forme diverse: Amelia, l’unica amica di Becky, trascorrerà parte della sua vita legata ad un amore soltanto sognato, il giovane George Osborne ambisce ad un titolo nobiliare, suo padre vuole soltanto ampliare il proprio, già cospicuo, capitale. Sullo sfondo scorre la storia d’Inghilterra tra il 1800 e il 1830, la battaglia di Waterloo, le feste sontuose e le lontane colonie indiane. Lunghe carrellate permettono agli eventi di dipanarsi in maniera fluida e ordinata, a volte perdendo un poco di mordente. Il costante “effetto India” ricreato nei salotti inglesi può far sorridere lo spettatore in cerca di rigore storico soprattutto quando l’eleganza formale, tipica degli adattamenti letterari, è interrotta da un balletto degno del Lido. Stupisce che una regista come Mira Nair, creatrice di una nuova immagine dell’India grazie a “Salaam Bombay” e “Monsoon Wedding”, ricada in banali stereotipi proprio quando parla della sua terra in cui gli ufficiali diventano delle specie di santoni con barba lunga e gambe incrociate… Resta l’interpretazione di Reese Witherspoon, la bionda in carriera, che abbandona gli atteggiamenti da ochetta viziata per il ruolo ambiguo di Becky Sharp ma ciò non basta per sollevare un film che nei titoli di testa (con fiori e pavoni) faceva sperare ad un nuovo “L’età dell’innocenza”.,Daniela Persico