Tre ragazzi romani alla fine dell’esame di maturità vanno in vacanza in Grecia a “cercare se stessi”. In realtà chi ha avuto l’idea insegue la ragazza dei suoi sogni, che si trova già sull’isola di Santorini e che gioca con lui a “tira e molla”. Gli altri due, ignari, lo seguono. E tra desideri di avventure sentimentali, spinellate, delusioni e litigi inizieranno a fare i conti con la vita. Tutti chiedendosi cosa gli aspetta al ritorno alla vita vera: insomma, cosa gli riserva il Destino, come da domanda del titolo.,Il regista-sceneggiatore già complice di tanti successi di Pieraccioni incontra il fratello minore di Muccino (Silvio), qui attore, cosceneggiatore e soggettista. Ne viene fuori la mezza sorpresa dei premi David di Donatello (gli Oscar italiani), dove si sono presi 12 candidature (ma, giustamente, nessun premio), oltre a buoni incassi e consensi tra giovani e anche meno giovani. Come il fratello maggiore autore de “L’ultimo bacio”, anche Muccino junior ha una notevole sensibilità per il linguaggio e il “target”: sa come parlano e come si comportano i ventenni e, a differenza di tanti altri film sui mitici “giovani”, azzecca il ritratto di un ambiente romano, di figli di piccoli borghesi o di povera gente, con tanti desideri, altrettante frustrazioni e poche prospettive. Quando scherzano o litigano, non c’è la solita aria di finzione, ma gli attori sembrano davvero i personaggi che interpretano. E l’entusiasmo di “Muccinino”, anche come attore, è contagioso, senza contare verve e situazioni e battute che scatenano la platea. Insomma, un film amato anche dagli addetti ai lavori per la capacità di agganciare il pubblico che al cinema ci va, e tanto, ma poi si deve spesso sorbire le frustrazioni dei film italiani sui 40 o 50enni, al massimo i trentenni Peter Pan (e infatti, quei film italiani, non li vede). Non a caso, il film è prodotto da quella vecchia volpe di Aurelio De Laurentiis. Senza contare alcuni attori davvero bravi: non tanto la figlia d’arte Violante Placido (comunque meglio che altrove, tipo il terribile “Ora o mai più”), quanto Giuseppe Sanfelice, che era il figlio di Moretti in “La stanza del figlio”, e soprattutto l’ottimo Elio Germano, che cresce film dopo film (già molto bravo in “Il cielo in una stanza”, “Respiro”, e unico a salvarsi in “Ora o mai più”) e il già citato Muccino. Molto bravo e simpatico, anche nel prendere in giro il suo difetto di pronuncia (una “zeppola”, citata nel film…) e addirittura eccezionale in una scena madre: quando alla cena con il padre e la giovane amante di lui per la sua maturità, alla domanda del genitore di chiedergli qualsiasi cosa gli risponde diretto e feroce, “torna dalla mamma, lascia questa sconosciuta…”. Il ragazzo ha temperamento, se non si monta la testa crescerà bene.,Detti i pregi, passiamo ai difetti. Che non sono pochi. Se i protagonisti sono felicemente descritti, alcuni personaggi lo sono molto meno (il terzetto delle ragazze conosciute in Grecia, la giovanissima innamorata del personaggio di Muccino con una fastidiosissima voce fuori campo e ridicola sentenza finale); i dialoghi sono a volte tirati via con sciatteria irritante; alcune situazioni sono “telefonate”. E aggiungiamoci un eccesso di frasi recitate con perentorietà che non sfigurerebbero nei baci Perugina… ,Ma il peggio è il tradimento dell’idea originale, di raccontare sogni, speranze e desideri dei ventenni. La domanda di Destino buono viene subito ridotta a sistemazione sentimentale. Ma sarebbe il meno, chi nega l’importanza dell’amore? Ma le disavventure sentimentali e sessuali sono rese con la consueta banalità, anche se non si rimane indifferenti ai palpiti dei protagonisti: il passaggio dalle grandi idee sull’amore al talamo in pochi secondi è sempre sintomo di sciatteria psicologica e di sceneggiatura, oltre che di gretta visione dell’amore. Che in questo genere di film fa sempre rima con sesso, mai con altro. ,Alla fine, il bicchiere è mezzo pieno e ci si mangia le mani per l’occasione perduta di sondare davvero il desiderio di felicità, desiderio che per un giovane è tutto: il titolo, molto bello, faceva sperare davvero di più.,Antonio Autieri,