Un architetto all’apice del successo va in crisi: prima un incidente stradale, da cui scampa per miracolo, lo fa sentire onnipotente; poi il desiderio di sincerità e della propria felicità gli rende insopportabile l’ipocrisia di amici e persone amate. E la sua vita va in pezzi…,Il quarto film di Mimmo Calopresti sembra il classico film “imprerfetto”, e così molta critica lo tratta: attori bravi insieme a interpreti poco azzeccati. Una prima parte riuscita cui segue una fase più confusa. E potremmo continuare con i difetti. Ma è forse il film pù sincero di questo inizio 2003, e pone questioni che raramente il cinema affronta: la felicità è un tema scandaloso. E con scandalo il protagonista pone questa intuizione (“la felicità è un nostro diritto”; “è questa la vita che sognavi da bambino?”) ai suoi interlocutori, convinto che non gli basta più nulla: il successo, i soldi, nemmeno l’amore. Calopresti, che di mestiere è regista e non attore, porta nel film la sua maschera scolpita di rughe e di infelicità, tanto da far parlare di film autobiografico. Ma questo non importa. Come, pur se segna una fase debole del film, importa poco che la storia d’amore breve con il personaggio di Francecca Neri poco aiuti il film (ma è un bell’imprevisto che irrompe a sorpresa a spezzare la disperazione) a mantenere il livello impegnativo scelto fin dall’inizio. Ma quell’invocazione “scettica” a Gesù (“io non so se credo, ma se puoi aiutami”) e anche la sua rabbia succesiva (“questa me la potevi risparmiare”) fanno presumere che, finalmente abbiamo un regista che si pone, anche se da un punto di vista laico, certe domande. E il Paradiso immaginato nel finale, sarà pure un Paradiso “proletario”, com’è stato detto, ma è un luogo di felicità e, soprattutto, dove tutto si pacifica e riconquista un senso. Come si suol dire: da vedere.
La felicità non costa niente
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