Giugno 1944, la Francia è sotto l’occupazione tedesca. Lo scrittore Robert Antelme, maggior rappresentante della Resistenza, è arrestato e deportato dai nazisti. La sua giovane sposa Marguerite Duras è trafitta dall’angoscia di non avere sue notizie e dal senso di colpa per la relazione segreta con il comune amico Dyonis. Pronta a tutto per ritrovare suo marito, finito nel campo di concentramento di Dachau, si lascia coinvolgere in una relazione ambigua con un collaborazionista della Gestapo, Rabier, che fa il galante con lei e che è l’unico a poterla aiutare. Atteggiamento che crea sospetti negli stessi uomini della Resistenza e in particolare in Dyonis. Nessuno, però, che capisca davvero il suo dolore, la sua attesa, i suoi stati d’animo contrapposti. Anche la fine della guerra non significherà il termine dell’angoscia.
Tratto dall’opera autobiografica di Marguerite Duras, che mantiene i nomi reali, La douleur è un viaggio a ritroso nel tempo attraverso i ricordi e le parole, che nel film si mescolano ovviamente con le immagini, in un continuo andirivieni tra la Marguerite del presente – che ritrova i diari del 1944 e rivive i ricordi di quei giorni terribili – e quella del 1944. È il racconto di un dolore, appunto, ma anche di un’attesa e di un’assenza, e dei sensi di colpa di una donna che tradisce il suo uomo e teme di non vederlo più tornare. O forse, non sa nemmeno cosa sperare. Un grande peso nella vicenda ce l’ha il rapporto con altri due uomini: il collaborazionista Rabier e l’amante Dyonis. Con Rabier il gioco di ambiguità, di manipolazione reciproca (chi sta usando l’altro, a rischio della vita? Lui la vuole aiutare – davvero sta avendo trattamento di favore per il marito di lei – o solo avere informazioni sui partigiani? E lei quanto è lì per il marito e quanto per sé stessa?) e forse di una certa attrazione (per l’uomo quasi esplicita; per la donna forse solo una lusinga, fonte comunque di altri sensi di colpa) è teso e intrigante, e i dialoghi tra i due, negli incontri alla luce del sole eppure con il sapore del “proibito” e dell’illecito, sono interessanti, nella continua schermaglia, quasi un duello verbale. Senza contare che possono diventare l’esca per l’omicidio dello spregevole “funzionario”. Più bloccato il confronto con il duro Dyonis, che gioca a far sentire in difficoltà Marguerite quasi a scaricare il suo (eventuale) senso di colpa. E poi c’è l’attesa, i pensieri / monologhi, le fughe nella città colpita dalle bombe, ma anche una giovane donna che sembra estraniarsi da tutto (la corsa in bicicletta, proprio durante un attacco aereo).
Il film di Emmanuel Finkiel, selezionato dalla Francia per la corsa all’Oscar straniero, è di nobile qualità letteraria, ed è prezioso storicamente nel ricordare ancora una volta a chi non sa quali periodi terribili abbia affrontato l’Europa solo pochi decenni fa; ed è significativo osservare i mutevoli umori della “folla”, prima e dopo la liberazione dai tedeschi, come pure il dramma di chi tornava a casa dall’inferno con la mente sconvolta. Ma come opera cinematografica ha qualche limite, rivelandosi più interessante che bello. Soprattutto con una tensione che regge fino alla fine della guerra, mentre il “dopo” ha qualche momento forte (appunto, i reduci) ma smorza comunque la tensione che viene affidata soprattutto alle parole, in un lungo, diluitissimo finale (dove però c’è una soluzione “visiva”, in cui anzi si vede poco, davvero felice).
Il pregio maggiore sono comunque le interpretazioni dei protagonisti, in particolare l’intensissima Mélanie Thierry che rende bene una donna fortissima nel resistere al dolore e all’attesa ma anche fragile nel suo macerarsi tra sentimenti contrastanti. Ma anche Benoît Magimel – al contrario del partigiano Dyonis, reso minacciosamente dall’ombroso Benjamin Biolay, che è un personaggio meno interessante – nei panni del bieco collaborazionista offre un’interpretazione ricca di sfumature: quanto crede davvero, quell’uomo che sogna di aprire una libreria dopo la guerra, che la Germania sia prossima alla vittoria, e quanto è obbligato a pensarlo?
Antonio Autieri