Nella Repubblica Federale Tedesca (ovvero la Germania Ovest del Muro di Berlino) di fine anni 60, una famosa giornalista di sinistra, Ulrike Meinhof, si avvicina ai movimenti extraparlamentari di cui condivide le istanze. Durante una contestazione alla visita dello Scià di Persia, uno studente viene ucciso dalla polizia; l’ideologo Rudi Dutschke viene ferito quasi mortalmente con un colpo di pistola da un avversario politico, esaltato dalla campagna ostile di un potente giornale “borghese”; la guerra del Vietnam accende poi ancora più gli animi. In questo contesto, mentre il suo matrimonio va a pezzi, Ulrike Meinhof decide di avvicinarsi a una serie di estremisti rossi che decidono di liberare due loro esponenti, Gudrun Ensslin e il suo compagno Andreas Baader, in carcere per l’incendio a un grande magazzino. Dopo quell’“impresa” terroristica, la vita della giornalista prende la strada della lotta armata cui sacrificherà – come altri – affetti e figlie. Nasce la RAF (Rote Armee Fraktion), chiamata anche da alcuni la banda Baader Meinhof. Che, dopo un apprendistato militare con i guerriglieri palestinesi (che pure sembrano detestarli per la loro “rilassatezza” di costumi…), e una serie di rapine e omicidi, finirà presto al gran completo di nuovo in prigione nel blindatissimo carcere di Stammheim. Da qui tensioni interne ma anche una scia di consensi presso studenti e lavoratori di sinistra, che vedevano in loro i liberatori da una società asservita al capitalismo e all’imperialismo americano. I loro eredi non riusciranno mai a liberarli, nonostante altri attentati, omicidi, dirottamenti e sequestri finiti in bagni di sangue.,Il film di Uli Edel ha suscitato numerose proteste in Germania, sia per il taglio d’azione che sembra spettacolarizzare tragedie mai rimarginate (e che pure danno un ritmo impressionante, capace di coinvolgere anche chi non sa nulla di quei fatti), sia per una certa dose di ambiguità nel definire i contorni delle imprese della RAF: presa di distanza o esaltazione più o meno inconfessata? In realtà c’è anche chi ha anche accusato il regista di aver realizzato un film dalla parte dei “padroni” e dello “Stato borghese” (incredibile, c’è ancora chi si esprime così: trent’anni sono passati invano?), soprattutto di aver avvalorato la tesi ufficiale del suicidio di gruppo che chiuse quella vicenda storica e non quella circolata da allora dell’omicidio di Stato ai danni dei terroristi. E c’è da dire che, pur se apparentemente circonfusi di un’aura di coraggio e spregiudicatezza (ai limiti della goffa guasconeria), Baader e i suoi appaiono – se si guarda il film senza pregiudizi – per quello che erano: come per i terroristi (rossi ma anche neri) che insanguinarono l’Italia, degli uomini e donne della RAF emerge tutto il vuoto e rabbrividente dogmatismo ideologico, che oggi sembra quasi lunare e ridicolo ma all’epoca faceva proseliti. E se le scene dei processi possono insospettire nel presentare un pubblico di giovani fans scatenati di questi criminali (e duramente ostili verso i giudici), non ce la si può prendere con Uli Edel che non ha fatto altro che rappresentare quella triste epoca. Non è miseria raccontare che i terroristi fossero per qualcuno degli eroi (perché, purtroppo, per molti lo furono), quanto lo è non voler scavare nel profondo delle ragioni e delle cause (e anche delle colpe, precise storicamente e politicamente) che portarono tanti giovani a bruciare le proprie esistenze in nome di false e violente utopie, che parlavano di giustizia e uguaglianza e poi non si preoccupavano di ammazzare poveri poliziotti, inermi passanti e commessi, giustificando i loro atti con ciniche farneticazioni. ,Se cinematograficamente il film è di altissima qualità – con uno stile che ricorda l’italiano Romanzo criminale di Michele Placido e con un gruppo di attori molto bravi di cui alcuni noti anche all’estero (i protagonisti Martina Gedeck, vista ne “Le vite degli altri”, e Moritz Bleibtreu), dal punto di vista storico e politico “La banda Baader Meinhof” è interessante proprio per il punto di vista che potrebbe sembrare più discutibile. Prendendo il punto di vista dei terroristi, ma non minimizzando violenze e deliri ideologici, Edel (che ha ammesso: «Io stesso fui affascinato ma poi questo sentimento mutò in orrore») riesce a restituire quell’epoca a chi la ricorda con angoscia ma anche a chi non l’ha vissuta. Ma, sapendo che la Storia è sempre a rischio di tornare sui suoi passi, guardarla in faccia senza censure può permetterci di capire gli errori del passato e tentare di porre un argine contro eventuali soprassalti di estremismi di ogni genere che vorrebbero insanguinare l’Europa e il mondo.,Antonio Autieri,