I primi tredici fulminanti minuti del film, che illustrano il “metodo” di Alex Lippi varrebbero da soli il prezzo del biglietto. Organizzare un incontro fortuito, affascinare una sconosciuta che neppure sa quello che le manca, partire dalle sue passioni e dai bisogni trascurati, farle intravedere orizzonti sconosciuti di sentimenti assoluti (meglio se infelici) riscoprire l’amore cui è degna, e poi elegantemente sfilarsi lasciandole l’agio di trarre le dovute conclusioni. Il ragionevole presupposto è che chiunque abbia avuto almeno un assaggio di una storia d’amore in grande stile non si accontenterà più di modesti surrogati.

Alex Lippi, Don Giovanni su ordinazione sul “lavoro”, si permette al massimo un bacio e, non molto diversamente dall’Hitch dell’omonima commedia americana, intende il suo mestiere non solo come business ma come una vera e propria missione umanitaria. Il suo target sono le donne infelici ma senza la consapevolezza di esserlo, ed è esclusivamente su questo gruppo di bisognose di “illuminazione” e di soccorso che si è specializzato. Basta una segnalazione da parte di amiche, sorelle o genitori e lui si mette in moto con consumata professionalità. Percentuale di successi vicina al 100%, provare per credere.

Anche qui, come in tutte le professioni umanitarie, il rischio di sindrome da burn out è dietro l’angolo, ma per fortuna si tratta di un’impresa di famiglia: sorella e cognata fanno da compari e di volta in volta rivestono il ruolo di comparse nelle elaborate messe in scena che fanno da sfondo alla seduzione. Le cose si complicano quando Alex, a corto di soldi, accetta incautamente da un mafioso la sfida di separare la figlia, una bella sommelier, dal suo quasi marito (mancano solo 10 giorni al matrimonio), uomo d’affari impegnato in imprese umanitarie. Il lavoro puzza (sarà poi davvero un rapporto così marcio da doverlo sabotare?) e la preda si rifiuta di collaborare costringendo il nostro al super lavoro, tra un falso incarico di body guard e imbarazzanti straordinari notturni a mettere in scena un’improbabile replica del ballo di Dirty Dancing. La morale è che la chiave del cuore di una donna si conquista sì con l’astuzia e la pianificazione, ma soprattutto con la disponibilità a mettersi in ridicolo, che è poi il modo più reale per abbassare le difese e offrirsi all’altro per quello che si è, anche quando si crede di fingere. Il riso condiviso, più che la seduzione, è la porta dell’amore ma questa volta anche Alex cadrà nella rete e sarà costretto a mettersi in gioco.

Questa pellicola francese, cui pure non manca qualche caduta di stile un po’ farsesca che sembra piacere tanto ai transalpini, rivitalizza inaspettatamente un genere oggi un po’ in declino come la commedia romantica, divisa tra remake poco convinti e riscritture confuse della mappa dei sentimenti. Merito anche dell’interprete Romain Duris, in genere più conosciuto per i suoi ruoli drammatici, ma che qui pare divertirsi un mondo nel ruolo del seduttore prezzolato vittima dei suoi stessi intrighi; mentre Vanessa Paradis gli tiene testa con grazie nei panni dell’incontentabile ereditiera con la passione per i balli anni 80.

Laura Cotta Ramosino