Debole trasposizione cinematografica del libro omonimo di Thornton Wilder, un soggetto interessante che poteva di certo essere sfruttato in modo diverso, migliore. Una prima parte abbondante è dedicata alla presentazione dei protagonisti, lineare ma troppo superficiale: l’individuazione di personaggi più importanti rispetto ad altri non è immediata. Per tutto l’andamento del film, invece, non è chiara l’utilità dell’inserimento di alcuni episodi ai fini della comprensione di un senso generale. Manca l’unità narrativa, ottenuta invece efficacemente nel libro da una precisa suddivisione che vede assegnare ad ogni capitolo la storia di un diverso personaggio, con l’aggiunta di un prologo e un epilogo: non aveva più senso mantenere quest’ordine, che tra l’altro rispecchia in qualche modo il rigore scientifico con cui fra Ginepro effettua la sua indagine? Di una sceneggiatura e un montaggio confusi risente anche l’esposizione delle conclusioni tratte dal frate. Idea centrale è che l’amore puro e incondizionato (contrapposto alla passione) costituisce il fil rouge che tiene unite le esperienze umane e lega tra loro la vita e la morte (le quali solo in esso acquistano un senso): cinque persone dall’animo buono, incomprese o non corrisposte, hanno perso la vita perché tutti gli slanci d’amore tornano a Dio, “l’Amore che li ha creati”. Ma nel film, rispetto al libro, i concetti portanti della storia sono espressi in modo più banale e sbrigativo e traspaiono soprattutto da alcune frasi finali, probabilmente perché la regista non riesce a fare in modo che gli eventi mostrati parlino da sé, come accade nel testo. Ne consegue che allo spettatore resta più in mente il giudizio sostenuto dall’Arcivescovo di Lima durante il processo che non il pensiero di fra Ginepro, pensiero che dovrebbe rendersi evidente e condivisibile nella narrazione dei fatti. A questo proposito, c’è anche da chiedersi per quale motivo venga dato così tanto spazio al vescovo, personaggio marginale nel libro.,Tra tanti grandi attori (sprecati), si segnalano un insolitamente antipatico Robert De Niro, fuori parte quasi quanto lo sarà in Nascosto nel buio (2006), e un insolitamente simpatico Harvey Keitel. Belli e originali i costumi. ,De Il ponte di San Luis Rey si hanno altre due versioni cinematografiche: una del 1944, di Roland W. Lee e un’altra muta, del 1929, diretta da Charles Brabin.,Maria Triberti,