Don Chisciotte è un personaggio che, anche solo per meriti letterari, rimanda ad una tradizione che parla di utopie e di epici fallimenti. Chi padroneggia la storia del cinema è al corrente delle difficoltà cui sono andati incontro i registi e i produttori che hanno tentato di portarne le gesta sul grande schermo. Celebri i casi di Orson Welles e di Terry Gilliam che, chi per un verso chi per un altro, una volta cimentatisi nell’impresa hanno dovuto poi rinunciarvi (le vicende del film di Gilliam sono raccontate nell’interessante documentario “Lost in la Mancha”). L’incombere di questa tradizione negativa, forse, è stata la ragione per cui questa coproduzione italo spagnola ha pensato bene di aggirare l’ostacolo, realizzando non un adattamento ma una sorta di “sequel” dell’opera di Cervantes. E complimenti per lo sforzo produttivo e per la realizzazione tecnica, che testimoniano i progressi fatti nel nostro continente nel campo dell’animazione digitale. L’idea di partenza era buona: dotare il personaggio di Chisciotte di un appeal tale per cui potesse piacere ai giovani e divertire i bambini: sognatore, idealista, stravagante, pasticcione, comunque affascinante e simpatico, un eroe positivo che sacrifica tutto in nome dell’amore per l’amata e degli ideali della cavalleria. E neanche c’erano motivi per non riempire il film di spalle comiche ed animali parlanti, come da tradizione. Peccato allora che la storia, che poteva essere semplice e divertente, si preoccupi di strizzare troppo l’occhio agli adulti con dotte citazioni letterarie (alcune delle quali sfuggiranno non solo ai bambini) e perfino alcune piccole cadute di gusto. Il modello dovrebbe essere la saga di “Shrek” (e il personaggio dell’asino è praticamente copiato dal Ciuchino della celebre saga, al limite del plagio) ma si vola abbastanza basso, sia per quello che riguarda l’originalità sia per quello che riguarda il divertimento. Il titolo, intraducibile in italiano e in spagnolo (i due paesi produttori), è un gioco di parole con la parola asino (in inglese, appunto, “donkey”). Bella idea (un po’ sofisticata, come tutto il resto) ma gratuita: l’animale in questione infatti non è il protagonista del film, ma il narratore della storia. E non si chiama Xote., ,Raffaele Chiarulli