Eppure è meno brutto di quanto ne hanno scritto e parlato. E sicuramente fa più ridere de Il cosmo sul comò che invece non fa ridere mai ed è meglio dei cinepanettoni natalizi. Certo, il film della Banda Filmauro è volgare, anche se meno di altri cinepanettoni, ma riesce nello scopo prefissato. Cioè, fa ridere: ci riesce grazie a una buona professionalità degli attori tutti molto in gamba, eccezion fatta per la Hunziker ancora troppo rigida. De Sica e Ghini sono una coppia affiata che ha già fatto dimenticare Boldi che invece, da solo, poveretto, è ridotto a divenire una caricatura di se stesso. Fabio De Luigi si conferma come buon comico, anche elegante.

Ma Natale a Rio riesce a strappare più di un sorriso grazie all’esperienza di chi sta dietro le quinte: Neri Parenti regista e sceneggiatore, e anche in questo caso i maestrini dalla penna rossa si mettano il cuore in pace, ha una lunga carriera di cinepanettoni e non solo alle spalle e si vede. Sa come costruire delle gag; sa gestire bene la girandola degli equivoci. E’ un buon artigiano che sa fare il proprio mestiere. E poco importa che il film ricicli gag e situazioni già viste (Aldo Giovanni e Giacomo lo fanno da diversi anni). Qui invece funziona tutto, non proprio a meraviglia, ma il meccanismo è ben oliato e le risate partono in automatico, anche magari quando non si coglie proprio tutto (molte delle gag verbali sono a volte incomprensibile per un pubblico meno acculturato, il che può sembrare un paradosso). Funziona tutto, perché c’è una professionalità dietro. Non si incassano venti e passa milioni di euro solo facendo leva sugli istinti più bassi del pubblico.

La questione è un’altra: Natale a Rio, come tutti i ventiquattro cinepanettoni precedenti ha incassato tanto perché è cinema popolare, è un residuo della commedia popolare degli anni d’oro del cinema italiano, e che qui ovviamente è molto meno satira sociale e molto più superficiale e sbracata (tutta quell’esibizione di marchi pubblicitari…). Ma è cinema popolare: ci si identifica molto di più nei due vitelloni di Ghini e di De Sica che non in tutte le commedie “culturali” buone e meno buone degli ultimi anni. È forse un fatto triste, perché significa che il cinema italiano non riesce più a produrre cinema popolare meno superficiale e più di qualità. Ma è un fatto, questo, che fa pure ridere, mentre bollare come immondo un fenomeno che non si riesce o non si vuole comprendere (oltre lo schermo esiste sempre un pubblico libero e pagante…), beh, tutto questo è invece proprio triste, intollerante e anche un po’ insopportabile.

Simone Fortunato