Un ragazza fugge, inseguita da un giovane: lei ha rubato un cellulare dal centro commerciale dove lavora il ragazzo. Che, dopo averla raggiunta, si fa convincere a lasciarla andare: perderà il lavoro per tale atto di magnanimità. Li rivediamo poco tempo dopo: Agnese, diciottenne casa e parrocchia, non è una ladra ma voleva rubare il cellulare perché la madre severa e bigotta glielo aveva sequestrato; Stefano, che ha qualche anno più di lei, cerca di non ricascare in giri loschi e di lavorare anche per aiutare – malvolentieri – i genitori che se la passano male (e si approfittano di lui). E quindi si adatta a fare il guardiano a un parcheggio adiacente a un campo rom dove gli “abitanti” sono particolarmente aggressivi. Si rivedono lì, perché la madre di Agnese va a portare ai rom vestiti e giochi. Tra loro in breve tempo scoppierà la passione: Agnese è attratta da Stefano, ma spaventata di poter perdere la purezza cui si è impegnata, con la madre e in parrocchia dove fa parte di un gruppo di giovani aiutati da un sacerdote a vivere nella castità.
Ambientato in una Roma del disagio sempre più frequentata dal cinema italiano, Cuori puri innesta in questo contesto un sottotema particolare, con l’incontro tra il classico ragazzo “di borgata” e una giovane che cerca di vivere la propria giovinezza e insieme la propria fede. A tratti il film ricorda vagamente il recente La ragazza del mondo: là c’era una comunità di Testimoni di Geova; qui una comunità cattolica che dà luce al gruppo “Beati i puri di cuore” (che si ispira a gruppi realmente esistenti), pur molto meno rigido e certamente non aggressivo nel rapporto con la ragazza. Anzi, il sacerdote – reso bene da Stefano Fresi, in genere utilizzato in parti brillanti – è una figura piuttosto dolce e comprensiva verso i giovani, cui parla di perdono prima che di peccato (ma comunque lo sguardo su di lui è bonariamente distante, come se fosse una figura nobile ma fuori dal mondo). Piuttosto, è la madre di Agnese con la sua durezza e mancanza di rispetto verso la sua libertà – pur con l’umanità che riesce a darle Barbora Bobulova – a ricordare quel tipo di genitore dai principi ottusamente ferrei. Roberto De Paolis, che viene dalla fotografia, ha realizzato un film più “visivamente” e narrativamente interessante della sopravvalutata (ancorché premiato con il David di Donatello al miglior esordio) opera prima di Marco Danieli. E i suoi personaggi, a cominciare dai due protagonisti, hanno più sfumature e ci risultano più veri, grazie all’interpretazione di Selene Caramazza e Simone Liberati. Agnese ha i dubbi di una ragazza insicura che vive con difficoltà il rapporto con una madre dura nella sua altrettanto fragile certezza (che lascia intravedere un passato non facile, dal momento che tira su da sola la figlia). Stefano ha una sua “purezza” nel vivere in un contesto degradato in cui rischia di ricadere, per quanto abbia un carattere che lo porta sempre sul punto di esplodere. Ma ci sono comunque troppi cliché, che sfiorano il pregiudizio quasi lombrosiano (la festa di compleanno con le canzoni religiose… Certe facce, certi modi di esprimersi, come per esempio l’amica del cuore di lei), come pure alcune situazioni abbastanza prevedibili: dalla scena di sesso lunga e insistita al rapporto teso tra Stefano e l’amico spacciatore (interpretato dall’ottimo Edoardo Pesce), presenza troppo inquietante e incombente per non far indovinare che il ragazzo rischia di tornare da lui.
Sicuramente il neo regista ha senso dei tempi, stile, capacità di fotografare persone e spazi. Ma certi entusiasmi critici ci sembrano un po’ sopra le righe, per un film che tutto sembra fuorché nuovo. Come spesso ci capita di pensare di fronte certi esordi, Cuori puri mostra capacità che speriamo vengano messe a frutto con storie con un po’ più di originalità e spessore.
Antonio Autieri