Wonder Woman era forse una delle cose migliori del precedente e contestatissimo capitolo dell’universo di supereroi della DC Comics, Batman contro Superman, e qui ritorna come protagonista in quella che in gergo di definisce origin story, il racconto di come diventa una supereroina a tutti gli effetti.

Se non sono mancati, all’interno del vero e proprio “rinascimento” dei supereroi degli anni 2000, personaggi femminili interessanti (specie tra gli X Men, ma anche Vedova Nera tra gli Avengers), non ci sono in realtà veri blockbuster interamente dedicati a una supereroina (meglio dimenticare i modesti Elektra e Catwoman). Non a caso, i produttori hanno voluto mettere a capo dell’operazione una regista donna. Del resto la contrapposizione tra un maschile bestialmente guerrafondaio e un femminile guerriero sì, ma votato alla protezione e alla salvezza (in modo forse un po’ ingenuo e kitsch Diana afferma di lottare in nome dell’amore contro la volontà di potenza di Ares) piuttosto che alla violenza e alla prevaricazione, è un tema fondamentale della pellicola.

Non che la storia della principessa amazzone guerriera cresciuta in un’isola di sole donne demonizzi in assoluto l’elemento maschile; anzi, la dinamica tra la protagonista e Steve Trevor, l’ufficiale americano spia tra i tedeschi che lei salva e accanto a cui parte per compiere la sua missione, ha la comicità e l’atmosfera di certe commedie d’altri tempi, con una lei intelligentissima ma totalmente ignara dei meccanismi mondali e un lui vagamente in difesa delle sue prerogative.
La storia si svolge alla fine della Prima Guerra Mondiale: nei fumetti originali era la seconda ma saggiamente i produttori hanno spostato lo scenario evitando così il confronto con le avventure di Steve Rogers/Captain America, con cui per altro Diana ha molto in comune (nel film c’è almeno una citazione forse non del tutto volontaria delle sue avventure). Innanzitutto lo sguardo sulla realtà privo di cinismo (una vera novità specie nell’universo superomistico della Warner, che ha finora privilegiato i toni cupi anche su un campione del bene come Superman), che sfida anche l’insensata violenza delle trincee del fronte occidentale e ribadisce il primato della speranza nella possibilità di bene della natura umana contro il cupo pessimismo del suo avversario.

Lo spostamento di set storico permette anche di complicare un po’ il discorso rispetto al senso della guerra: se i Nazisti sono i “cattivi” per eccellenza, anche per una neofita come Diana è chiaro che qui invece le cose sono un po’ più complicate e non soltanto perché oltre all’influenza del terribile Ares (che lei intende uccidere per liberare la terra dalla violenza) ci si mette anche l’ambigua natura dell’uomo, che non ha bisogno di “aiutini” esterni per causare dolore e sofferenza, ma che è anche capace di straordinaria generosità. La storia soffre di un inizio un po’ lento (e del resto c’è da spiegare le origini delle Amazzoni e del loro regno, forse visivamente non uno dei momenti più riusciti della pellicola) e non ha per la verità degli antagonisti davvero interessanti, mentre sul finale il solito scontro tra titani con macchine e carri armati gettati per aria ed esplosioni a gogo sembra ormai il dazio da pagare al genere. Ciononostante, anche grazie all’interpretazione luminosa di Gal Gadot – convincente sia nei momenti d’azione che in quelli di alleggerimento comico – pur rimanendo lontano dai migliori capitoli della Marvel il film si lascia vedere. E lascia sperare in un cambio di rotta anche per il futuro di Batman, Superman e C.

Laura Cotta Ramosino