L’erculeo Mitch è a capo di una squadra di bagnini che presidiano le paradisiache spiagge di una baia della Florida. Ma dimenticatevi i bolsi guardiaspiaggia delle nostre riviere: qua, tra un surfista spiaccicato contro la scogliera e un paio di bimbi caduti da un pontile, c’è pure tempo per sventare un capillare spaccio di droga che ha proprio il litorale come terreno d’azione. Il team è atletico, organizzato, affiatato: fisici scultorei, pelle abbronzata, pettorali sempre in vista. A rompere gli equilibri c’è però l’innesto forzato nel gruppo di un nuovo elemento, ex campione di nuoto dalla lingua tagliente che crede che pattugliare l’Oceano sia un gioco da ragazzi.

Dire che Baywatch non sia un capolavoro è superfluo, così come è superfluo ricordare che il lungometraggio si ispira alla fortunata serie Tv che fece brillare gli occhi ai giovani degli anni 90. Le star della serie originale David Hasselhoff e Pamela Anderson (presenti qui in due gustosi e autoironici cameo) vengono rimpiazzati da volti più giovani e fisici più asciutti, le scene action impreziosite dalle tecniche che la cinematografia moderna offre e, soprattutto, il tono serioso del telefilm viene stemperato da una maggiore ironia: il film, infatti, ha il pregio di non prendersi troppo sul serio. E in questo Dwayne Johnson e Zac Efron hanno le facce giuste per giocare a cane e gatto, mettendo in campo non solo i bicipiti ma anche schermaglie tutto sommato godibili. Il difetto è che prendersi così poco sul serio rischia di far sfociare l’ironia in scemenza: la gag demenziale è sempre dietro l’angolo, quella volgarotta sempre presente ed è più facile che si rida (ogni tanto) con la pancia che con la testa. Il telaio narrativo è ovviamente poco più che un pretesto, dove tutto è sempre molto approssimativo e sconclusionato. Il risultato è un film guardabile per spegnere il cervello due ore: lasciamo decidere a voi se sia un bene o un male.

Pietro Sincich