Durante la seconda guerra mondiale, ad Atene, un appartamento viene requisito per ospitare un ufficiale tedesco. La famiglia Helianos, un tempo benestante (il padre era editore), si trova a servire il capitano Kalter in tutto e per tutto: il padre Nikoloas, la madre Zoe, i due figli Leda e Alex, tutti con diverse sensibilità e reazioni, sono a completa disposizione del metodico ufficiale, che sa alternare toni sottilmente suadenti, soprattutto con la giovane e ingenua ragazzina di casa, e dispotismo. Vita e abitudini di famiglia sono stravolte, la sottomissione è totale; solo il più piccolo di casa prova ogni tanto a ribellarsi, ma inutilmente. Poi, a un certo punto, Kalter si deve allontanare: e dopo la breve, euforica libertà, il ritorno del capitano è ancora più spiazzante: la sua nuova gentilezza li sconcerta. Pian piano, qualcosa sembra cambiare; Kalter, promosso maggiore, si mostra aperto e colto, si apre a Nikolas Helianos, lo consiglia nel rapporto con i figli, fino a confidargli un enorme dolore… Ma può davvero nascere un rapporto profondo tra il nazista e i suoi “sudditi”?, Dall’omonimo romanzo di Glenway Wescott, Appartamento ad Atene è un’interessante opera prima firmata da Ruggero Dipaola. Pur nei limiti del budget di una piccola produzione e del film chiuso nell’appartamento del titolo – con molte concessioni quindi al taglio teatrale – l’operazione può dirsi riuscita (come confermano i numerosi premi nei tanti festival cui ha partecipato, in Italia e nel mondo, prima dell’uscita in sala). È interessante il meccanismo che si genera tra il tirannico capitano Kelter e i suoi “servi”: il padre è ossequioso fino a suscitare tensioni nella moglie, che pure non sa ribellarsi, e nel figlio; il ragazzo è preda di furore ma è troppo piccolo per poter fare qualcosa; la figlia è preda delle lusinghe che l’ufficiale le riserva, creando ulteriori tensioni. Ed è interessante anche il ritorno di Kelter da un viaggio in Germania (in cui, si scoprirà, è avvenuto qualcosa di tragico che lo riguarda), quando sembra cambiato, mansueto, “buono”. Ma è un fragile equilibrio che è destinato a saltare. ,C’è qualcosa di troppo programmatico e schematico nel film, e alcuni difetti che possono sconcertare: per quanto all’altezza, gli interpreti italiani (Laura Morante compresa, in linea con i suoi standard ma senza scaldare il cuore) non sono credibilissimi come greci, a cominciare dal piccolo Vincenzo Crea che ha una dizione fortemente romana. Nettamente superiori il tedesco Richard Sammel (visto anche in Bastardi senza gloria di Tarantino) e soprattutto il “vero” greco Gerasimos Skiadaressis (che pure recita in italiano, ma con accento riconoscibile), che conferisca verità e sensibilità al personaggio del mite capofamiglia. L’epilogo sembra un po’ brusco, ma nel complesso è un film che si fa apprezzare e che delinea con professionalità e correttezza i temi contenuti nel romanzo.,Antonio Autieri