C’è chi ha reagito all’undici settembre girando documentari irriverenti, c’è chi invece ci prova con un film di finzione: unico fattore in comune la voglia di far discutere, di muovere o forse soltanto di emozionare.,Basta una storia ispirata a fatti realmente accaduti e il conseguimento di un primato coraggioso (come unico film straniero girato in terre afghane) a rendere reale una storia girata con troupe e attori? September tapes ci prova e suscita immediatamente scalpore, negli Stati Uniti ben otto ore di girato sono state requisite dal Ministero della Difesa Statunitense. Vedendo l’opera ultimata certo non si rimpiange l’accaduto, anzi si arriva a sperare il sequestro dell’intero film. Lo spettatore deve essere pronto ad un autentico shock visivo: l’avventura dell’incauto documentarista (che prevedeva una sceneggiatura seppur abbozzata) lascia ampi margini al documentare la situazione dell’Afghanistan, la sua povertà, l’instabilità politica, l’ostilità verso lo straniero. Sono forse quelli iniziali i momenti più riusciti di questo docudrama che nella seconda parte si dilunga in una caccia a Bin Laden durante la quale cadono, uno ad uno, non soltanto i protagonisti della storia ma anche i propositi del regista che tanto voleva riportare l’impressione di reale sullo schermo. Dalla rappresentazione della morte (evidentemente fasulla) di uno dei protagonisti, crolla il difficile equilibrio tra realtà e finzione, tanto ricercato dal regista. Non basta il night shooting, verdastro utilizzato nelle riprese notturne, per toglierci dalla testa che il film non sia soltanto l’ennesimo (e furbesco) fenomeno mediatico. Memori di “The Blair Witch Project” non lasciamoci ingannare da un film in cui la tragica attualità della guerra diventa sfondo per una vicenda personale che gronda d’odio. ,Daniela Persico ,