Il calcio in America se lo filano praticamente solo durante i Mondiali oppure quando si parla di Beckham e della sua famiglia glamour, ma in compenso questo sport ha avuto abbastanza successo tra i pargoli, lo dimostra il fatto che l’espressione soccer mom abbia finito per identificare le mamme del ceto medio con mariti ricchi a sufficienza perché loro possano dedicarsi a tempo pieno alle attività dei figli.,La tipologia abbonda nel suburbio americano dove si trasferisce George Dryer, ex calciatore scozzese ormai in declino (la carriera è stata stroncata da un incidente e gli investimenti immobiliari in Canada che dovevano garantirgli una pensione dorata sono falliti), con un passato da sciupafemmine che gli ha rovinato il matrimonio con la bella Stacie e gli ha fatto perdere di vista il figlio Lewis.,George ha però deciso di cambiare e si impegna apertamente a riconquistare l’affetto del bambino (e un po’ meno apertamente quello della madre) fino ad accettare, in attesa di trovare un lavoro “vero” come commentatore televisivo, di fare l’allenatore alla squadretta di calcio del figlio.

Da qui in poi le signore di cui sopra cominciano a buttarglisi addosso come mosche sul miele e anche a un uomo benintenzionato come George riesce difficile dire di no, pure se il suo cuore batte ancora evidentemente per la moglie. Così tra un allenamento con i ragazzini (e ragazzine, in Usa il calcio infantile è unisex), un provino per la televisione e una festa elegante, George si trova fin troppo spesso con una donna tra le lenzuola e questo finisce per causare problemi anche nel rapporto con il figlioletto. Anche lui, però, ha i suoi standard morali e quando si trova nel letto la consorte del ricco Carl King, che entusiasta del nuovo mister gli ha pure prestato la sua Ferrari, dice un bel no. Il che ovviamente non gli eviterà comunque di finire nei guai…

Il terzo film americano di Muccino, nelle intenzioni del regista, come da titolo italiano, è il tentativo di raccontare una faticosa conquista della maturità da parte di un ex Peter Pan (di quelli che abbondano, per intenderci, nei film italiani di Muccino) in cerca di riscatto e di responsabilità, ma ancora un po’ arrugginito nel gestirle. L’intenzione è buona e il cast, stellare per una piccola commedia romantica (ma non ditelo a Muccino, che non vuole sentirla chiamare così, anche se si infila di diritto in un ricco e americanissimo filone di “commedie di rimatrimonio”), testimonia dell’interesse che Muccino ha riscosso in America con le sue prove precedenti.

Paradossalmente, però, lontano dalle sue prove drammatiche dalle due parti dell’Oceano, questo Muccino emotivo e “familiare” (le donne della provincia americana, anche quelle assatanate, non urlano come quelle de L’ultimo bacio e compagnia) convince assai meno se non nella regia, sempre professionale, certo nella tenuta narrativa. Il regista, da dichiarazioni, avrebbe voluto un finale meno “happy” e più aperto di quello uscito al cinema e non gli si può dare del tutto torto: a volte il difficile cammino verso l’età adulta passa anche attraverso il riconoscimento di occasioni perdute e il sacrificio. Qui, invece, complice una storia sul cui finale il pubblico è fin troppo certo fin dal primo minuto, c’è il rischio che, calcio a parte, si abbia l’impressione di trovarsi in una pellicola degli anni Ottanta, con il suo disperato ottimismo e una linearità di scrittura che finisce per essere più che prevedibile. Difetti che solo in parte la simpatia del protagonista e dei comprimari e i lodevoli intenti iniziali riescono a ovviare.

Laura Cotta Ramosino