Curioso esordio del disegnatore di fumetti Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi, che riprende un libro una graphic novel (“Nessuno mi farà del male”) di un altro “collega” delle strisce, Giacomo Monti. Pacinotti trova nell’esordiente Gabriele Spinelli un ottimo protagonista nella parte di Luca, uomo che vive da solo schiacciato da complessi e freni di ogni tipo ma soprattutto dall’astio per le donne (procurato dalla madre, che abbandonò lui e il padre), che non gli impedisce di nutrire un tenero e impossibile amore per una vicina di casa. Accanto a lui, un’umanità che aspetta con ansia o superficialità, paura o curiosità, l’arrivo imminente degli alieni (annunciato, non si sa bene come e da chi). Mentre i media amplificano la psicosi collettiva e c’è chi cerca di guadagnare sulle anime semplici, ognuno attende questo arrivo in modo diverso, ma quando finalmente si paleseranno – tutti uguali, ma a persone diverse in modo diverso – gli alieni interverranno, eccome, sulle vite con cui entreranno in contatto: innamorandosi, curando case e orticelli, correndo in soccorso di persone malmenate, punendo approfittatori. Insomma, rispondendo alle speranze della bella vicina di casa di Luca (che non è meno alieno tra le persone “normali”): “Vorrei che sapessero distinguere il bene dal male, con certezza”.,Impaginando la narrazione con uno stile personale debitore all’eccentricità del mondo dei fumetti “adulti” (i volti di alcuni personaggi minori sembrano caricature), Gipi si fa notare come un esordiente di sicuro spessore, e l’averlo messo in concorso al primo colpo alla Mostra di Venezia 2011 è stato un azzardo calcolato per il direttore Marco Muller: come confermano i consensi della stampa italiana e anche internazionale. L’operazione alla fine rimane però confinata nell’ambito dei cultori di un cinema di nicchia, oltre tutto senza il coraggio di pigiare del tutto il pedale della “stravaganza”. L’alternarsi di un tono surreale, abbandonato ben presto dopo un incipit e sopra le righe con quello più consueto e realista seppur vagamente “sognante” (gli alieni si vedono, senz’alcun alone di mistero, ma sono comunque all’interno di una cornice favolistica e, nelle intenzioni, ingenua), non aiuta alla credibilità della vicenda. Così che alla fine non sappiamo se abbiamo assistito a un film di fantascienza contemporanea e urbana, a un fantasy d’autore, a un apologo filosofico o al tentativo, onesto ma non del tutto compiuto, di un mix tra queste e altre forme di narrazione. Un’opera che, nonostante alcune banalità (battute come quella sull’enciclica “Adventus Martianis”, davvero di quart’ordine; figure che sembrano omaggio al politically correct come il trans vittima dei colleghi del protagonista, qualche volgarità gratuita e qualche scena superflua), risulta sostanzialmente ben fatta, anche perché sostenuta da buone interpretazioni (il già citato Gabriele Spinelli al debutto, l’anziano attore di teatro Roberto Herlitzka, Anna Bellato già vista in Che bella giornata di Gennaro Nunziante con Checco Zalone, mentre l’ottimo caratterista Teco Celio è mal utilizzato). Ma che non supera i confini della “tirata” metaforica, e un po’ irritante, contro un’Italia che non piace e con una morale oltre tutto abbastanza semplicistica (gli alieni trattano bene i buoni e male i cattivi…). Senza osare neppure approfondire quell’accenno di desiderio di bene e di giustizia contenuto nell’assunto.,Antonio Autieri

L’ultimo terrestre
Un uomo solitario e complessato cerca di vivere nonostante la propria fragilità, mentre l’umanità attende l’arrivo degli alieni