Quando all’inizio del film Norman Oppenheimer (Richard Gere) incontra il nipote avvocato (Michael Sheen) per carpirgli informazioni su un pezzo grosso che desidera incontrare, Norman fa immediatamente sfoggio di una consumata esperienza nel gioco della finanza. Ma dal modo col quale si approfondiscono le sue connessioni, presumibilmente di alto profilo, si capisce chiaramente che tutto il suo daffare è molto fumo ma ancora l’arrosto non si vede. E gaffe di vario tipo sono sempre dietro l’angolo, con conseguenze imbarazzanti. Il film si focalizza sull’unico brillante successo che l’uomo sembra aver raggiunto: la conoscenza di Micha Eshel (Lior Ashkenazi), un vice Ministro del Commercio di Israele che Norman riesce ad ammaliare acquistando per lui un costoso paio di scarpe. È un atto che, tre anni dopo, Micha ricorda ancora una volta quando, ora come primo ministro d’Israele, vede Norman in una conferenza politica a Washington. Con un tale riconoscimento, per la prima volta nella sua vita, Norman sembra veramente importante: un vero giocatore nel campo della politica. Ma il momento magico non durerà, e il castello di conoscenze e legami vantati dal protagonista si ritorcerà contro di lui.
Durante tutto lo svolgersi della tragicomica vicenda bisogna riconoscere che il film mantiene una delicata empatia nei confronti di Norman – reso con efficacia da Richard Gere, in una delle sue migliori prove recenti – e delle sue evidenti scelte sbagliate, anche quando gli eventi volgono irrevocabilmente al disastro. Il regista allora indulge in qualche trucco visivo per aiutare ad alleggerire il tono, come durante le conversazioni telefoniche nelle quali viene abolito lo spazio tra il chiamante e il destinatario, facendo sembrare che Norman sia nella stessa stanza della persona a cui sta parlando, anche se alla fine il vero Norman Oppenheimer rimane un mistero sia per noi che per la maggior parte delle persone con cui interagisce. A complicare il mistero è anche la spropositata generosità verso gli altri, un atteggiamento che complica il facile biasimo delle sue azioni. L’atteggiamento di Norman è fin troppo evidente nei suoi disperati tentativi di raggiungere Micha per convincerlo a fare un favore per un amico, il rabbino Blumenthal (Steve Buscemi), nonché nel suo sincero interesse a aiutare Micha durante un momento di grave scandalo politico. Molta di quella sincerità si proietta in una gentilezza che ci fa capire perché le persone come Micha potrebbero subire il fascino di Norman e in un’umiltà che aiuta a spiegare l’incapacità dell’uomo di sopravvivere in un mondo feroce come l’attuale. La volontà di vedere un essere umano solitario sotto la sua superficie di incapace trafficone è ciò che rende Norman tanto provocatorio quanto meritevole di compassione. Un buon film, purtroppo non aiutato da uno svolgimento abbastanza contorto nella seconda parte, che rende meno efficace di quanto poteva essere l’apologo raccontato. Che rimane un’opera più curiosa che riuscita, ma in cui chi starà al gioco potrà trovare non pochi spunti di interesse.
Beppe Musicco