Noir dai tratti esistenziali assai schematico e poco riuscito. Lo dirige Bruno Oliviero che incappa nella più classiche trappole del cinema d'autore. Immagini sfocate e rarefatte, spesso non necessarie (tipo quelle ricercate della telecamera di sorveglianza), virtuosismi della macchina da presa, lunghi, estenuanti primi e primissimi piani, spazio a dettagli francamente incomprensibili (il lungo indugiare sulla tenda della doccia, forse un richiamo a Psyco?). La storia e una certa caratterizzazione dei personaggi sembrano tratti da un romanzo di Scerbanenco: in una Milano uggiosa ma che a dire il vero si vede poco e male, si consuma un efferato omicidio. Viene ucciso infatti l'imprenditore Mario Ulrich nella sua bella abitazione, con un colpo di pistola. Chi sarà stato? L'ispettore Monaco (un tristissimo Silvio Orlando) in collaborazione con Levi (uno svogliato Giuseppe Battiston) si mette a capo dell'indagine. Ma man mano che entra nel vivo l'inchiesta, per il vecchio ispettore si rifanno vivi vecchi fantasmi: il ricordo mai sopito della moglie morta da tempo, le complicazioni del suo rapporto difficile con la figlia. Film problematico: da un lato è apprezzabile la volontà di Oliviero di andare a pescare un filone come quello poliziesco-esistenziale, alla Scerbanenco appunto, di cui da anni il cinema italiano sembra essersi dimenticato. Ma l'operazione è solo di facciata e cerebrale: i riferimenti allo scrittore di origine ucraina si fermano alla superficie. Qualche scenario (l'ambiente corrotto ai margini della discoteca Odissea, il particolare tragico della morte della moglie, un registro introspettivo). Il resto è però molto sfilacciato e anche poco curato, a partire dal cast, poco efficace per demeriti registici ma anche per vizi oggettivi. In particolar modo, se la coppia formata da Orlando e Battiston è davvero poca cosa e non scatta mai la partecipazione dello spettatore al dolore e alle problematiche del commissario Monaco, il punto dolente è sul fronte femminile. Alice Raffaelli fatica ad essere credibile nei panni della giovane figlia del protagonista e nei momenti più altamente drammatici mostra tutte le sue difficoltà, mentre Sandra Ceccarelli, nel ruolo della moglie di Ulrich, è davvero una pallida, esangue copia della brava attrice apprezzata in film come Luce dei miei occhio Il più bel giorno della mia vita. Più di tutto però a non convincere, al di là di una sceneggiatura traballante, è una regia invasiva e più al servizio di se stessa che della storia da raccontare. Così, il nodo della vicenda è sciolto malamente: perché ovvio ma soprattutto perché mal raccontato. Il flashback inutilmente frammentato che porta al finale è ad esempio solo sfoggio di stile e, tra l'altro, neanche dei migliori. Ma anche altrove la regia di Oliviero è presente e non sempre nel modo più consono: l'uso insistito di primissimi piani, per lo più sfocati, tolgono ritmo al film e, davvero, appaiono poco necessari anche in chiave metaforica così come la costruzione di alcune sequenze (quella all'obitorio, quella, chiarificatrice tra il padre e la figlia, o – la peggiore di tutte – l'interrogatorio in chiesa della Ceccarelli mentre il coro canta il Dulcis Christe) appaiono di un didascalismo insopportabile. Come dire: per presentare la corruzione morale nell'Italia di oggi basta prendere un vecchio laido dal cognome svizzero e dalla casa splendida e una moglie, che ha molto da farsi perdonare, che ascolta, rapita, canti cristiani. Uno schema risaputo e sin troppo ovvio. ,Simone Fortunato,