Non è facile la vita di Pierre-Paul, 36enne irresoluto: il rapporto con la compagna, vittima dei suoi vaniloqui e delle sue indecisioni, è andato in crisi; il suo dottorato di filosofia non gli ha portato da vivere, e deve campare lavorando come fattorino. Ma un giorno, in giro con il suo furgone per una consegna, vede una sparatoria furibonda, che lascia sul terreno – oltre ad alcuni morti – due borsoni pieni di soldi. In lui, così rigidamente etico, si fa largo subito l’idea di tenerli e cambiare vita… Ma dovrà trovarsi a che fare con polizia, malviventi, escort affascinanti e “mentori” criminali pazienti e autorevoli.
Terza parte di una trilogia iniziata negli anni 80 con Il declino dell’impero americano e proseguita con Le invasioni barbariche (2003), La caduta dell’impero americano mette in scena tutti i temi cari al regista canadese Denys Arcand: la critica alla società contemporanea avida e materialista, la rivolta di chi non accetta il sistema, lo sberleffo a ogni tipo di potere, il cinismo sarcastico. Qui, più che in altre volte, il tono si fa divertito e divertente più che furente; e i consueti attacchi agli Usa, alle banche, alla politica (non solo nordamericana: nelle prime scene il protagonista se la prende anche con Berlusconi, oltre che con Bush, Trump ecc.) lasciano in fretta spazio a una storia simpatica e con una certa suspense, frizzante nella sua amoralità (e con una scena decisamente “hot”, anche se non si vede nulla), leggera fino a rischiare di svanire a fine proiezione ma godibile.
Il gruppo di improvvisati criminali – sempre più ampio – alleati nel “colpo” tutto sommato fa simpatia: come pure l’amore che nasce tra Pierre-Paul (che recupera anche la stima e l’amicizia della sua ex) e la bella escort intraprendente e con amicizie altolocate. Amore che vede un tasso di sentimento e, a suo modo, di purezza che non si vede spesso nei film di Arcand. Che qui si è appunto, divertito parecchio ma ha anche messo in scena una storia che scorre bene, piena di spunti divertenti e satirici: ne fanno le spese il sistema capitalistico e la sofisticata finanza “umanitaria” che si ingegna per nascondere flussi di denaro dietro fitte cortine fumogene; il premier canadese liberale, bersaglio di una sorprendente stilettata come pure le ossessioni del “politicamente corretto”; ma anche la stessa evoluzione del moralissimo Pierre-Paul in normalissimo depredatore di soldi altrui, seppur cercando di giustificare in qualche modo le proprie azioni. Si ride a tratti, si rimane perplessi talvolta, ma la vicenda è impaginata con inedito ritmo e consueta eleganza; e il regista dirige al meglio un gruppo di ottimi attori su cui spiccano, accanto ai due giovani Alexandre Landry e Maripier Morin, i vecchi compari Rémy Girard e Pierre Curzi, presenti negli altri film della trilogia.
Luigi De Giorgio