A distanza di tre anni dal film che ha rilanciato a livello mondiale il franchise con cui Spielberg nel 1993 aveva aperto l’era del cinema degli effetti speciali digitali, i protagonisti di quella pellicola, l’addestratore di velociraptor Owen Grady e l’ex direttrice del parco tematico prestorico Claire Dearing (ora convertitasi alla protezione dei diritti dei lucertoloni redivivi) tornano sul “luogo del delitto”.
Questa volta sono i dinosauri a rischiare grosso, perché un’eruzione vulcanica sta per provocare una seconda estinzione e il mondo si divide sull’opportunità di offrire a quegli esperimenti di genetica la stessa protezione data ad animali meno problematici come i panda. Dopotutto i dinosauri nemmeno dovrebbero esistere più, forse vale la pena di lasciar fare alla Natura il suo corso…
Ovviamente, per la gioia di chi non sa rinunciare agli inseguimenti e ai massacri ad opera di T- Rex e affini (qui il teaser della pellicola gioca sull’immagine, molto spielberghiana, di un enorme dinosauro sottomarino) le cose sono destinate ad andare diversamente. Lo avevamo già visto in altre pellicole della serie (e anche nel recente Kong: Skull Island), al netto dell’illusione di sicurezza della tecnologia, tra uomini armati e animali giganteschi non c’è partita. La missione di salvataggio però si rivela qualcosa di molto più inquietante: i dinosauri sono destinati ad un’asta per ricchi acquirenti, si tratti di appassionati di preistoria, case farmaceutiche che sperano di fare ricerca avanzata e illegale, o mercanti di armi russi per cui il dinosauro può trasformarsi in un’arma di precisione.
La pellicola, sfortunatamente, invece di abbracciare il tono scanzonato dello scorso capitolo, che rilanciava alla grande sul sentimento di meraviglia dell’originale e sul tema della famiglia (aggiungendo l’elemento interessante dell’interazione di branco tra uomo e animale), si perde nel mescolare tematiche “serie”: dalla sfida della genetica e della clonazione, al bracconaggio, passando per il commercio clandestino di armi e la critica al capitalismo arrogante. Chris Pratt regala al suo personaggio il suo usuale mix di spumeggiante umorismo e di spirito di avventura, mentre il rapporto con Claire (il suo personaggio, interpretato ancora da Bryce Dallas-Howard, perde gli improbabili tacchi e pettinatura dell’altro film e diventa un’eroina in perfetto stile #metoo) evolve da bisticcio romantico ad una più matura partnership.
I momenti dinosauro (sia leggeri che terrorizzanti) naturalmente ci sono e in molti casi sono gestiti con competenza e spettacolarità dal nuovo regista Juan Antonio Bayona, che di suo aggiunge un tocco horror all’ultimo nato: lo spaventoso Indoraptor dotato, oltre che della ferocia di serie, di un elemento di malignità in più. Un mostro che sembra divertirsi a terrorizzare, anziché solo un predatore perfettamente costruito per uccidere.
Eppure la sensazione di fondo è che, perso nel suo maldestro tentativo di dire qualcosa di rilevante in maniera confusa (perché i dinosauri sono allo stesso tempo vittime innocenti dei cattivoni, ma anche una spaventosa minaccia da eliminare) e nell’ambizione di creare aspettative per nuovi capitoli, questo Regno distrutto finisce per perdere il senso della meraviglia; il meccanismo diventa ripetitivo e un filo prevedibile, mentre l’elemento più affascinante, il rapporto tra Owen e il velociraptor “empatico” Blue, non ha vere svolte. In fondo ci sarà un motivo per cui i dinosauri sembrano costituire una tappa inevitabile nella storia delle passioni dei bambini; e cercare di trasformare anche loro in una lezioncina sembra un po’ voler costringere una patatina a diventare un cibo sano.
Laura Cotta Ramosino